Meta, la nuova Facebook, scommette sul retail. Secondo quanto ricostruito dal New York Times, Mark Zuckerberg starebbe lavorando a un progetto di negozi “al dettaglio” nei quali verrà presentata tutta la tecnologia dell’azienda o, in alternativa, un hub espositivo per le iniziative della divisione Reality Labs: l’obiettivo è consentire agli agli acquirenti di avere un’esperienza fisica del prodotto.
Nei negozi saranno messi in vendita i visori per la realtà virtuale Oculus Quest, che dovrebbero essere ri-brandizzati e chiamarsi Meta Quest. La società dovrebbe portare nei negozi anche dispositivi di chat video di Facebook Portal, che saranno rinominati Meta Portal. Entrambi sono già stati venduti in alcuni punti vendita come Best Buy.
I negozi dovrebbero essere caratterizzati da un design minimalista. Per quanto riguarda il nome, in cantiere ci sarebbero Facebook Hub, Facebook Comos o, ancora, Facebook Reality Store. Adesso resta da vedere se la parola Facebook sarà sostituita da Meta.
L’affondo del governo britannico
Non funziona il rebranding di Facebook, almeno secondo il governo Uk. Nadine Dorries, ministra per il digitale lo ha detto chiaramente in audizione sulla legge per la sicurezza online, promettendo di introdurre sanzioni penali per i social media in base a nuove leggi che regolino i contenuti dannosi sul web. “Il rebranding non funziona”, ha detto giovedì ai legislatori, durante un’audizione sulla legge sulla sicurezza online. “Quando viene causato un danno, lo inseguiamo”, ha puntualizzato Dorries.
L’azienda sta affrontando una delle sue più grandi crisi nella storia recente, a seguito di una serie di rivelazioni da una ex dipendente Frances Haugen nonché ex ingegnere informatico addetta ai dati di Facebook. Tra le confessionia anche il fatto che l’azienda era a conoscenza degli effetti dannosi della sua app Instagram sugli adolescenti. Haugen, apparsa al parlamento del Regno Unito il mese scorso, ha detto che i regolatori hanno una “breve finestra di tempo” per agire sulla diffusione di incitamento all’odio e altri contenuti dannosi su Facebook.
Dall’altra parte però Meta ha ribadito più volte che il suo cambio di nome riguarderebbe la volontà di creare un “metaverso”, una sorta di realtà virtuale condivisa in cui più utenti possono interagire tra loro come avatar. La società ha recentemente affermato che prevede di assumere 10.000 ingegneri nell’Unione Europea per aiutare con i suoi sforzi per costruire il metaverso.
Il governo del Regno Unito sta procedendo con riforme radicali che chiederebbero alle società di social media di rendere conto della condivisione di contenuti dannosi e illegali sulle loro piattaforme. La legislazione minaccia multe fino al 10% del fatturato annuo globale o 18 milioni di sterline (24,2 milioni di dollari), qualunque sia l’importo maggiore, per il mancato rispetto.
Secondo le bozze di proposta, i dirigenti delle società di social media potrebbero affrontare un’azione penale entro due anni se non riescono a eliminare il materiale tossico. Tuttavia, Dorries ha promesso di accelerare le sanzioni penali. “Non saranno due anni”, ha detto. “Sto guardando da tre a sei mesi per responsabilità penale”.
Il disegno di legge è attualmente all’esame di un comitato di politici guidato da Damian Collins, un parlamentare che ha accusato Facebook dello scandalo sulla privacy di Cambridge Analytica nel 2018. Dorries ha esortato il comitato a fornire le proprie raccomandazioni al governo il prima possibile.
Dorries ha poi spiegato che Meta dovrebbe dare a quei lavoratori extra il compito di “rispettare i tuoi termini e condizioni e rimuovere i tuoi algoritmi dannosi”.
Il metaverso oltre Facebook
Il metaverso non è più materia di fantascienza, ma viene considerato il futuro di Internet, un settore che potenzialmente potrebbe diventare un’opportunità di investimento nei prossimi anni.
Bloomberg Intelligence stima che il mercato del metaverso entro il 2024 potrebbe raggiungere gli 800 miliardi di dollari.
E dopo Facebook è partita la corsa di diverse società come Microsoft ma anche, inaspettatamente, di Nike.
Secondo Mark Zuckerberg, il nuovo concetto di Metaverso supportato dalla realtà virtuale consentirà di “teletrasportarci al lavoro, a un concerto o a una riunione di famiglia in forma di ologramma” facendo risparmiare tempo, traffico e non incidendo sull’ambiente.
Anche Microsoft, in un evento rivolto alle aziende, ha annunciato i suoi piani per questa tecnologia con spazi personalizzati e immersivi per incontrarsi nel lavoro. “Il metaverso è qui e non sta solo trasformando il modo in cui vediamo il mondo, ma anche il modo in cui vi partecipiamo, dalla fabbrica alla sala riunioni”, ha detto il Ceo Satya Nadella. Tra le altre aziende che puntano su questo ambito c’è Nvidia, il colosso americano dei semiconduttori, ma anche la piattaforma di giochi Roblox. E la Cina non sta certo a guardare con ByteDance, Alibaba e Tencent. Quest’ultima, in particolare, ha registrato quasi cento marchi relativi al metaverso e starebbe allestendo un nuovo team internazionale.
In un futuro mondo virtuale diventerà centrale anche il tema della vendita dei beni virtuali già esploso da tanti anni nel settore del gaming e tornato d’attualità di recente con gli Nft, i certificati digitali che negli ultimi mesi hanno conosciuto un vero e proprio boom in tanti settori. Per questo, anche aziende non tecnologiche potrebbero investire nel metaverso. È il caso di Nike: ha registrato alcuni dei suoi marchi per l’uso in contesti virtuali, il che fa pensare che si stia preparando a una presenza massiccia in questo particolare ambito. Altro elemento che potrebbe diventare primario in questo futuro mondo virtuale sono le criptomonete, possibile mezzo di pagamento in questa visione futuristica di Internet.
L’ecosistema che dovrebbe trasformare le nostre vite potrebbe inoltre diventare un mercato multimiliardario e generare milioni di posti di lavoro per i creatori. Facebook, ad esempio, ha già annunciato che nei prossimi cinque anni creerà 10mila nuovi posti di lavoro nell’Unione Europea.
Una voce scettica sul metaverso è quella dell’ex Ceo di Google, Eric Schmidt. “Chi deciderà le regole? Il mondo diventerà più digitale che fisico. E questa non è necessariamente la cosa migliore per la società umana”, ha spiegato al New York Times.