Il vertice di Telecom Italia, riunitosi nel Cda di venerdì pomeriggio, ha preso delle decisioni estremamente importanti. Dopo oltre un anno dalla decisione di sciogliere Telco, la struttura che governava la società, molto acqua è passata sotto i ponti.
Telecom Italia non è più una tipica società italiana controllata da azionisti di blocco che impediscono lo sviluppo, bensì una vera “public company”. Non è più, insomma, un baluardo del capitalismo di relazione. Il vertice composto dall’amministratore delegato Patuano e il Presidente Recchi, hanno ormai una forte iniziativa che non si limita più solo al territorio italiano.
Telecom Italia per sopravvivere non può più pensare ad una strategia a breve termine, ma deve focalizzarsi sull’espansione. La migliore difesa, d’altronde spesso è l’attacco e il vertice di venerdì ha preso proprio questa decisione.
Un attacco su più fronti dato che non si limita solo a spingere sulla fibra e sul mercato italiano, ma il Cda ha deciso anche di puntare di forza sul Brasile.
In Italia la preda è Metroweb e la sua rete in fibra, che è il futuro e presente delle telecomunicazioni. Non a caso in Spagna, l’ex compagna di viaggio Telefonica sta dismettendo diverse centrali in rame per concentrasi sulla fibra.
F2i è pronta a dare la maggioranza relativa a Telecom Italia, anche se si prospetta una guerra con il settore pubblico. Cassa Depositi e Prestiti ha infatti il sogno, non troppo nascosto, di diventare il player pubblico che controlla la rete delle telecomunicazioni.
Una visione molto antica che rivedrebbe l’Italia tornare indietro di decenni in un solo colpo. Lo sviluppo della rete deve infatti essere lasciato in mano ai privati e non è un caso che solo in Italia si parli di un’infrastruttura nelle telecomunicazioni che possa essere pubblica. I privati hanno la capacità di vedere meglio quale sia lo sviluppo del mercato e della domanda, mentre il pubblico ha spesso degli obiettivi politici.
Semmai c’è bisogno di una buona regolazione che possa favorire gli investimenti, ma questo è un problema che scavalca i confini nazionali. Il problema delle regolazione è infatti europeo e deriva da un mercato frammentato e suddiviso in 28 regolazioni differenti.
Per quanto riguarda la partita internazionale, gli equilibri sono ancora più complessi. Dopo aver lasciato Gvt a Telefonica, ex azionista di maggioranza relativa di Telecom Italia nel patto di Telco in Brasile, la controllata Tim Brasil concentra il suo attacco verso Oi.
Il primo operatore sul mercato della telefonia fissa, Oi, è più in difficoltà nel settore della telefonia mobile. Le difficoltà di Portugal Telecom, azionista della società, si sono riflesse sull’azienda brasiliana, che di fatto si trova in una situazione molto instabile.
Per questa ragione, nonostante nei mesi scorsi vi fosse stata la mossa di Oi di muoversi verso Tim Brasil, oggi la direzione del mercato è cambiato. Oi è non è più il predatore debole, bensì è Tim Brasil che si prepara ad attaccare l’ex incumbent brasiliano.
Tim Brasil parte dalla posizione di forza di essere il secondo operatore nel mercato della telefonia mobile ed ha bisogno di prendere una posizione anche nel settore della telefonia fissa, come dimostra l’attacco estivo a Gvt.
Per fare ciò, senza arrivare ad investire delle cifre esagerate come successo nel caso di Gvt, con dei multipli estremamente elevati, la società brasiliana di Telecom Italia ha già cominciato con la sua strategia.
In primo luogo ha venduto le torri di telecomunicazioni per fare cassa e per avere la liquidità necessaria per andare all’attacco di Oi. Oi, oltretutto, dopo i gravi problemi di azionariato, con la crisi di Portugal Telecom, si trova in posizione di debolezza nei confronti degli altri operatori in Brasile.
La crisi del Banco Espirito Santo di questa estate, che di fatto ha indebolito fortemente Portugal Telecom come azionista di OI, ha lasciato il segno e ha lasciato una porta aperta per la conquista dell’operatore brasiliano. Certo è che l’attacco di Tim Brasil non sarà facile poiché si pongono dei problemi anche di fronte all’autorità di concorrenza delle telecomunicazioni brasiliane che potrebbe far vendere delle parti di OI per accettare la fusione.
Tuttavia Telecom Italia ha cambiato marcia; non è più la tipica azienda italiana, ma è una vera public company che gioca la partita a viso aperto. Che finisca con un’acquisizione o meno, Telecom Italia ha vinto poiché ormai è fuori dalla logica del capitalismo di relazione che ha per tanti anni fatto male al nostro Paese.