“Mi permetta di rispondere con le parole di Lu Kang, portavoce del ministero degli Esteri cinese: In Cina non vi è alcuna legge che consenta al governo di obbligare un’azienda ad installare backdoors per spiare altre aziende o Stati”: Thomas Miao, numero uno di Huawei Italia, respinge con fermezza le accuse che arrivano dagli Usa. Per Miao stiamo assistendo a una “guerra commerciale” in cui la sicurezza è solo un pretesto e Huawei è semplicemente “vittima” di una strumentalizzazione. “La tecnologia 5G di Huawei è già presente venticinque Paesi ed altri seguiranno. Siamo sul mercato da 30 anni e i nostri prodotti sono venduti senza problemi in 170 Paesi”, osserva.
Eppure alcuni Paesi hanno bannato il 5G di Huawei per ragioni di sicurezza.
In maniera pretestuosa, senza alcuna prova concreta. Un comportamento assurdo e contrario alle regole internazionali sul commercio. Mi lasci fare un’altra citazione. Il nostro rotating chairman, Ken Hu, ha ben spiegato che “in oltre 30 anni di vita Huawei non ha mai avuto seri problemi di cybersecurity né c’è mai stata alcuna evidenza che i nostri prodotti minaccino la sicurezza di chicchessia”. Il nostro track record è più che solido. In Nuova Zelanda dicono di non volere il nostro 5G? Eppure, un operatore come Spark New Zealand usa tranquillamente i nostri prodotti abbinati a quelli di altri vendor. Non le pare contradditorio? Lo ripeto: è tutto pretestuoso, una assurda e ingiustificata strumentalizzazione delle preoccupazioni sulla sicurezza.
Perché strumentalizzazioni assurde e ingiustificate?
Perché certe accuse non stanno in piedi nemmeno tecnicamente. L’architettura del 5G è simile a quella del 3G e del 4G che abbiamo venduto ovunque. E non sono mai stati denunciati problemi di sicurezza di sorta. E poi c’è un’altra ragione. Sino al 4G la crittografia dei segnali trasmessi in rete era a 128 bit. Col 5G raddoppierà a 256 bit: nemmeno il computer quantico più potente può decifrarla senza conoscerne la chiave. Che non è in mano ai fornitori di apparati come Huawei ma agli operatori. Solo loro ne hanno accesso e possono eventualmente darne accesso ai governi.
Un ostracismo senza ragioni, allora.
Un ostracismo soltanto strumentale a interessi commerciali. Che, paradossalmente, si ritorcerà contro i Paesi che lo applicano.
Addirittura. Per quali ragioni?
Perché Huawei è leader mondiale nel 5G. E non mi riferisco al nostro ruolo di principali attori sul mercato del 5G, bensì alla qualità tecnologica dei nostri prodotti. Lasciarci fuori significa diminuire artificialmente la concorrenza fra i fornitori di apparati, limitando le scelte tecnologiche e di costo a disposizione degli operatori. Il prezzo lo pagheranno i consumatori finali ma anche la competitività di quei Paesi che ci escludono: il 5G sarà una tecnologia fondamentale per lo sviluppo dei servizi digitali del futuro.
Quindi l’Italia non deve temere nulla da Huawei.
Al contrario. Le nostre tecnologie possono aiutare il Paese in quel salto verso la digital trasformation cui l’Italia ambisce. In Italia siamo diventati una presenza solida. Vi siamo presenti da 15 anni e oggi contiamo su 850 dipendenti con una crescita del 20% l’anno. E assumeremo ancora. Si tratta di persone con alta qualificazione e forte professionalità. Crediamo e investiamo nel tessuto economico locale: nel 2017 abbiamo acquistato da aziende italiane per quasi 200 milioni di euro, con una crescita anch’essa del 20% l’anno.
Nelle tecnologie la ricerca è fondamentale.
Lo sappiamo bene e non ci tiriamo certo indietro. Ancora nel 2008 abbiamo aperto a Segrate il nostro primo centro di ricerca globale in Europa. Focalizzato inizialmente sul microwawe, il centro ha ampliato il suo ruolo con un focus sulle tecnologie delle alte frequenze per applicazioni 5G. È tutta ricerca fatta in Italia al servizio dell’insieme del gruppo Huawei nel mondo.
Il 5G è il vostro cavallo di battaglia più gettonato in questo momento.
Certamente. Del 5G siamo leader mondiali sia di mercato sia tecnologici, come ho già detto. Credo che l’Italia abbia grandi potenzialità di esercitare una leadership sui servizi 5G a livello europeo, come giustamente i suoi governi hanno detto di ambire. Le sperimentazioni che stiamo facendo a Bari e Matera con Tim e Fastweb e a Milano con Vodafone lo stanno dimostrando.
Conferma l’apertura a gennaio del nuovo centro di competenza sul design a Milano?
Certamente. Come Segrate, sarà anch’esso un centro R&D a carattere globale. Vogliamo farne un punto di riferimento per i nostri partner e le aziende interessate per lavorare con noi su prototipi, modelli, prodotti. È la prova che Huawei crede molto nel design made in Italy. Siamo molto attivi ed investiamo in Italia perché ci crediamo molto nel Paese.
Faccia qualche altro esempio.
A inizio dicembre abbiamo inaugurato a Cagliari lo IOC, l’Intelligence Operation Center messo a punto da da Huawei e Crs4. Il suo obiettivo è contribuire a far diventare la Sardegna la prima “smart region italiana” grazie anche al monitoraggio e al trattamento intelligente in tempo reale dei dati in settori come turismo, traffico, sicurezza su cui stiamo lavorando. Partiamo da Cagliari contando di diffondere l’esperienza in altre città italiane. Come ad esempio a Roma dove abbiamo siglato un accordo con Acea. Vogliamo dare un importante contributo di aiuto alle città italiane a diventare smart.
Una strategia di diffusione della vostra presenza a macchia di leopardo.
No, una strategia di radicamento nelle varie realtà locali a supporto della trasformazione digitale dell’Italia e delle sue imprese, Pmi incluse. Ad esempio, lo scorso luglio con Tim abbiamo inaugurato a Catania un Business Innovation Center. Si occuperà di parcheggi intelligenti, smart metering dell’illuminazione e delle perdite idriche, prevenzione degli incendi, gestione zootecnica innovativa. Insieme investiremo 3 milioni per sviluppare sul territorio un ecosistema di circa 30 startup e Pmi innovative orientando anche gli studenti verso le nuove tecnologie con l’obiettivo di generare nuovi posti di lavoro qualificati. E non vogliamo che sia un episodio isolato. Da noi l’Italia non ha nulla da temere. Anzi possiamo dare un contributo importante perché possa diventare un Paese sempre più smart.