Microsoft e Hewlett-Packard (HP) si stanno “approfittando degli aspetti deboli e ambigui del Fisco statunitense” per attuare una forma di elusione fiscale, ufficialmente legale, ma che finisce comunque per sottrarre ingenti somme di denaro alle casse dello Stato. È l’accusa formulata dal Subcomitato permanente del Senato Usa guidato dal senatore democratico Carl Levin, che condanna le “contorsioni legali, gli stratagemmi e le farse” dei big dell’hi-tech.
Nel corso dell’udienza, avvenuta pochi giorni fa, è emerso che “vari schemi hanno contribuito al trasferimento delle entrate verso paradisi fiscali off-shore per evitare di pagare le tasse negli Usa”. “Le multinazionali americane – ha detto Levin – prima sfruttano le debolezze insite nelle norme fiscali, poi riescono a riportare i profitti dall’estero negli Usa eludendo le tasse e infine migliorano in modo artificiale l’aspetto dei loro libri contabili”. Alla fine, secondo il senatore, “le perdite per il Tesoro Usa sono enormi”. Argomento non secondario in un contesto di perdurante crisi economica, con sullo sfondo la battaglia elettorale tra il presidente uscente Barack Obama e lo sfidante Mitt Romney, che si sta giocando anche sulle questioni relative al fisco.
In particolare il democratico Levin, da anni impegnato in battaglie contro l’evasione e l’elusione fiscale, ha esaminato i casi di Microsoft and HP. A suo dire Microsoft avrebbe spostato parte delle entrate all’estero vendendo brevetti alle sue sussidiarie a Singapore, Irlanda e Portorico e beneficiando così del differimento delle imposte. Da parte sua HP avrebbe utilizzato un complesso sistema di transazioni di prestiti off-shore: in pratica avrebbe rimpatriato utili sotto false pretese, vale a dire camuffati da prestiti offerti dalle controllate internazionali alla casa madre che godono di speciali esenzioni dalle tasse.
Sotto esame, oltre alla società fondata da Bill Gates, anche Apple e Google. Secondo l’indagine del Senato americano, negli anni fiscali 2009, 2010 e 2011 la Mela avrebbe spostato ben 35,4 miliardi di dollari di entrate a una controllata offshore, Google 24,2 miliardi e Microsoft 21 miliardi.
Il Vicepresidente Corporate di Microsoft, William J. Sample, ha replicato che “uno degli imperativi di business dell’azienda è operare in mercati stranieri in modo da creare il successo di una compagnia” e ha ribadito che “l’obiettivo primario della nostra struttura regionale è migliorare competitività ed efficienza”. Ha ammesso che Microsoft ha “preso in considerazione gli incentivi fiscali disponibili”, ma ha rimarcato che il gruppo “rispetta la normativa fiscale in qualsiasi giurisdizione si trovi ad operare e complessivamente versa miliardi di dollari ogni anno in tasse, comprese quelle federali, statali, locali ed estere”.
Anche HP respinge le accuse. Il vicepresidente e responsabile del settore fiscale, Lester Ezrati, ha sottolineato che il successo dell’azienda nei mercati stranieri è complementare, e funge da traino, a quello negli Usa. Ha confermato che la corporation è sotto costante monitoraggio da parte dell’Irs (Internal Revenue Service), aggiungendo che questo organismo, preposto al rispetto delle norme fiscali negli Usa, ha già rilasciato informazioni dettagliate sui prestiti offshore.