Sceso in Centrale dalla Frecciabianca, ho pochi minuti per la Frecciarossa Torino-Porta Susa. Ho qualche valigia, nulla in confronto con i turisti d’oltre Atlantico o d’oltre Grande Muraglia, che girano con valigie dotate di quattro ruote motrici, servosterzo, motore ibrido. Avendo lo spazio per l’intero corredo di mia nonna che era una signora borghese e quindi aveva una buona dotazione di biancheria e vestiti per le quattro stagioni, i turisti megairbag sono vestiti con un sobrio calzoncino corto, una sobria t shirt, un tablet, lo smartphone, una bottiglia d’acqua e gli infradito: che cosa nascondono dunque nelle loro valigie? Scendo sul marciapiede e, grazie al controllo accesso ai binari, ci si muove!
In era Expo: digitale, ordinata, la stazione funziona. Giunto in testa al binario, cerco il tabellone elettronico con i treni in partenza e, a fianco, in arrivo. Lo cerco, ma si scatena intorno l’effetto formicaio-stuzzicato-da-bambino-dotato-di-bastone sperimentato come prima lezione sul campo da scout o in colonia. Non sono solo, in stazione è difficile anche solo sentirsi tali: tutti cercano il tabellone, chi quello delle partenze, chi quello degli arrivi, chi affrettandosi, chi non prendendola con filosofia. Il tabellone non c’è.
Dietro al bancone assediato dai last minute che sembrano un gruppo di rock metallari, due funzionarie in divisa dispensano biglietti e informazioni a chi, urlando, cerca di raggiungerle nella bolgia, aiutandosi con segnali a braccio e gomitate basse o ginocchiate alte. E informano che il tabellone c’è ed è agevolmente consultabile sotto l’orologio. Nessuno fa ironia togliendosi quello della prima comunione o l’iWatch per guardarci sotto. Lo screen è formato locandina e intorno ad esso si aggruma un’umanità dolente, lagnosa, irata che teme di perdere le partenze e un’altra, non meno multigrugnita, che teme di perdere i propri affetti agli arrivi. Lo screen è proprio sotto l’orologio con il quadrante bianco, i numeri delle ore e i segni dei minuti, è in tutte le stazioni – in quelle più evolute uno per binario. Verso quell’orologio che non scandisce solo i minuti ma gli improperi, arrembano i valigianti, raggiungono il punto di lettura a una distanza di 120 cm roteando occhi strizzati, da cui, al termine dell’esercitazione, si dipartono sciabattando e scarpinando stormi di trolley con guidatori last minute, diretti verso l’ignoto mondo globale che si raggiunge dai binari assegnati. La pubblicità digitale con supermodelle ancheggianti sugli alti schermi ad alta definizione, dalle alte volte di acciaio e vetro irride i clienti che, alla Stazione Centrale di Milano venerdì 5 giugno 2015, cercano i treni come gattini ciechi.