Davide contro Golia. Anzi, tanti piccoli Davide, a giudicare da come si sta sviluppando lo scontro legale che vede protagonista Facebook appena arrivato davanti al giudice federale. L’accusa è un presunto comportamento anticompetitivo, cioè in violazione delle normative antitrust. Il social network, secondo i querelanti, avrebbe infatti agito in maniera anticompetitiva revocando l’accesso alla sua piattaforma in maniera inappropriata al fine di danneggiare dei possibili concorrenti. I querelanti si sono organizzati con una class action richiedendo danni per una cifra non rivelata dai documenti processuali che sono diventati pubblici al momento del deposito dell’azione legale.
Secondo Yavar Bathaee dello studio Pierce-Bainbridge, avvocati della parte offesa, “Facebook si confronta con un rischio per la sua stessa esistenza cagionato dalle app mobili e nonostante avesse la possibilità di rispondere competendo sulla base del merito, invece ha scelto intenzionalmente di eliminare i suoi avversari”. Facebook dal canto suo intende andare sino in fondo alla causa anziché cercare un patteggiamento. Come ha detto alla stampa Usa un portavoce dell’azienda “nell’attuale contesto, in cui gli avvocati dei querelanti vedono delle opportunità finanziarie, richieste come queste non sono inaspettate ma sono comunque senza alcun merito”.
La causa prende le mosse da una battaglia tra Facebook e le piccole aziende che sviluppano app che si collegano ai dati degli utenti. Facebook già nel 2012 ha tagliato l’accesso ai dati degli utenti per alcune di queste app, lasciandoli in funzione per altri. Andare in tribunale può avere conseguenze negative a prescindere dal tipo di risultato: da una causa simile portata avanti da Six4Three, uno sviluppatore di una app per fare foto in bikini adesso non più in attività, sono state messe agli atti migliaia di pagine di email aziendali interne che hanno provocato numerosi danni reputazionali.