«Il problema dell’Italia è che ci sono tanti insegnanti innovativi che adottano metodi d’insegnamento sperimentali, utilizzando in maniera intelligente le nuove tecnologie, ma manca una cultura dell’innovazione condivisa a livello di sistema». Così vede la situazione scolastica italiana Alfonso Molina, Direttore scientifico della Fondazione Mondo digitale. Una scuola giunta ormai al bivio dell’innovazione, però ancora restia a imboccare la strada del cambiamento, sia per resistenze culturali della stessa classe docente, sia per le carenze dell’infrastruttura di rete nazionale, sia anche per gli interessi di lobby del mondo dell’editoria scolastica che cerca di frenare la diffusione dei supporti digitali ed ebook per non perdere quote di mercato. Senza dimenticare la cronica mancanza di fondi che da anni affligge la scuola italiana. “Ma questo è il male minore”, puntualizza Molina, “perché una volta fatto l’investimento infrastrutturale, la tecnologia riduce i costi. Quindi gli istituti del Belpaese alla lunga potrebbero trarre anche vantaggi economici dall’innovazione”.
Insomma, Molina, secondo lei di che cosa ha bisogno la scuola italiana in questo momento?
È necessario un coinvolgimento di tutti i soggetti che operano nel campo della scuola, a cominciare dal Ministero dell’Istruzione, per reinventare il sistema educativo e renderlo al passo coi tempi. Bisogna che concetti come leadership, innovazione e auto imprenditorialità entrino a far parte dei curricula scolastici e si passi dall’attuale modello di educazione passivo che stimola la memoria a uno più attivo che incentivi la creatività. Questa si rivela un’abilità fondamentale nel mondo odierno, ormai sottoposto a cambiamenti repentini.
In questo processo di cambiamento che ruolo giocano gli smartphone e i device mobili?
Un ruolo molto importante, anche perché l’Italia è uno dei Paesi dove è più diffuso l’utilizzo degli smartphone. C’è bisogno di una didattica che integri queste nuove tecnologie. Molte scuole purtroppo ancora adesso vietano ai ragazzi di utilizzare i telefonini in classe perché non hanno capito le potenzialità di questi strumenti che, se ben usati, possono avere influssi positivi sull’apprendimento. Certo, non basta una delibera per promuovere un corretto utilizzo di questi device in aula. Serve soprattutto che gli insegnanti siano adeguatamente formati alle nuove tecnologie e sappiano gestirle. In altre parole serve un cambiamento culturale.
Che cosa ne pensa del piano del Governo per la scuola digitale?
Sicuramente si tratta di un progresso per l’Italia, da sempre accusata di avere scarsa lungimiranza politica. L’importante è che i buoni propositi non restino sulla carta. Il piano introduce il profilo dell’animatore digitale, un insegnante che dovrebbe guidare il processo d’innovazione negli istituti. Questa figura tuttavia è un po’ generica e da sola non basta. C’è bisogno di un lavoro di squadra che coinvolga tutti, a cominciare dal preside.
A che punto sono gli altri Paesi europei quanto a innovazione dei loro sistemi scolastici?
Io credo che il sistema scolastico stia facendo progressi in tutto il mondo, anche se ad oggi in nessun Paese esiste una scuola totalmente digitalizzata. Quelli più avanti sono i Paesi scandinavi, dove Internet è stato introdotto nella aule con un approccio di sistema. Ci sono poi tante esperienze interessanti, che raccontano nuovi modi di concepire la didattica. Penso, ad esempio, alle studio schools inglesi, in cui gli studenti sono chiamati a sviluppare progetti educativi basati sul territorio e sull’innovazione tecnologica. Infine penso anche all’Italia, delle classi capovolte. Ma manca ancora molto per poter parlare di un’azione sistemica.