Salvare i media. Capitalismo, crowdfunding e democrazia è un saggio di Julia Cagé che ha fatto molto parlare in questi ultimi mesi. Se non altro per la proposta di un nuovo statuto di “associazione non profit”, un mix fra lo statuto delle fondazioni e quello delle società di capitali, capace di conciliare l’attività commerciale e quella senza fini di lucro. Nella riflessione dell’autrice, tale statuto consentirebbe ai media di essere indipendenti dagli azionisti esterni, dagli inserzionisti e dai poteri pubblici contando invece per la loro solidità economica su lettori, dipendenti e metodi innovativi di finanziamento, crowdfunding incluso.
Una ipotesi di riposta concreta alla rivoluzione digitale che ha messo in crisi non solo la carta stampata ma l’intera catena dell’informazione. CorCom ne ha parlato con due commissari Agcom, Mario Morcellini e Francesco Posteraro. Al tema, Agcom ha dedicato un seminario che ha visto la partecipazione della stessa Julia Cagé.
Cosa aggiunge il saggio di Julia Cagé alla discussione in corso sui media?
Morcellini La domanda più corretta, a mio avviso, non è tanto quella di salvare i media ma tutelare l’informazione. L’obiettivo dei media infatti non è solo quello di informare, ma anche di intrattenere, documentare, istruire i pubblici di riferimento. In tale variegato ed ampio panorama la percezione dell’informazione cambia profondamente a seconda del mezzo mediatico utilizzato. La stessa informazione può essere percepita diversamente se fornita dalla televisione, dalla radio o da un giornale.
Per tutelare l’informazione occorre render pienamente edotti i pubblici di cosa sia o cosa rappresenti l’informazione. Il libro aggiunge essenzialmente un elemento di “provocazione culturale”; in Italia un saggio come quello della Cagé non esiste, si tratta di un testo che riassume in un pamphlet le ragioni etiche, politiche ma anche di analisi dei dati che costringono tutti noi a porci il problema della prospettiva del futuro dei media.
Posteraro. L’essenziale punto di partenza credo possa essere un’affermazione importante contenuta nel libro della Cagé, la quale sottolinea che il suffragio universale oggi non basta più a legittimare il potere politico, per cui la democrazia deve poter far leva anche sull’informazione. L’informazione è pertanto da ritenere un servizio pubblico. Da ciò deriva la necessità che i pubblici poteri si preoccupino di tutelarla, provvedendo, ove occorra, anche a contribuire al suo finanziamento. I media, o meglio quelli che fanno informazione, sono una parte importante dell’economia della conoscenza.
Qual è il ruolo dell’Agcom in tale contesto?
Morcellini. Tra i molteplici poteri che il legislatore ha attribuito all’Autorità vi è uno in particolare che meglio di altri riesce a cogliere gli aspetti della crisi dell’informazione: il confronto con gli operatori del settore. In molteplici contesti, infatti, l’Agcom ha chiesto il punto di vista di tutti i soggetti del settore; lo abbiamo fatto con il noto regolamento sul diritto d’autore, sulla diffusione e pubblicazione dei sondaggi, sull’analisi dei mercati ecc. In questo scenario l’Autorità ha istituito un Osservatorio sul giornalismo il cui obiettivo è quello di far emergere il punto di vista dei professionisti dell’informazione circa l’evoluzione della professione, la qualità e le criticità del proprio ruolo nella fase attuale, l’esigenza di ricerca di nuove identità e di nuove visioni in risposta alla crisi generalizzata dei comparti tradizionali della comunicazione. A tal riguardo stiamo organizzando un evento in Senato nel quale presenteremo i risultati della seconda edizione. La finalità è quella di offrire al lettore, al giornalista e a chiunque fosse interessato una fotografia puntuale del giornalismo in Italia.
Posteraro. A questo proposito, mi piace innanzi tutto ricordare un’altra iniziativa dell’Agcom, ossia l’indagine conoscitiva sul settore dei servizi internet e sulla pubblicità online conclusasi nel 2014. Dopo aver evidenziato il ruolo sempre più importante di Internet nell’alveo dell’offerta informativa, l’indagine ha sottolineato come la concorrenza di molteplici operatori abbia creato problemi di finanziamento all’intero sistema dell’informazione e come la riduzione delle fonti di reddito rischi di danneggiarne durevolmente la qualità e la veridicità.
Quanto in particolare alle fonti di finanziamento, mi ha colpito un dato fornito dal libro della Cagé, secondo cui, dal punto di vista delle entrate pubblicitarie, un lettore del cartaceo vale ben venti volte un lettore online. Non sono in grado di sapere se il dato sia in effetti rispondente al vero, ma se così lo sviluppo dei siti online, per quanto necessario, non potrà comunque recare un contributo significativo per la soluzione della crisi economica dei giornali.
Al di là di questo, il problema vero è che bisogna fare in modo di evitare quello che sta purtroppo accadendo, e cioè che la necessità di contenere i costi determini un peggioramento della qualità. Il vero caporedattore dei siti dei giornali online – sostiene la Cagé – finisce per essere Google News. Forse è un’affermazione un po’eccessiva, ma in essa c’è un fondamento di verità. Dobbiamo ricordare sempre che gli aggregatori di contenuti non sono produttori di informazione. L’informazione – specie quella di qualità – è un’altra cosa, ed è ciò che noi dobbiamo tendere a preservare e a valorizzare.
Alla luce del saggio della Cagé come sta l’informazione nel contesto italiano?
Morcellini. Il saggio offre svariati spunti di riflessione molto importanti sull’evoluzione dei media o meglio sul cambiamento della percezione dell’informazione da parte dei lettori/internauti determinato dall’affermarsi di internet. Se da un lato i produttori d’informazione non sono mai stati così numerosi, dall’altro gli stessi non sono mai stati così vulnerabili. L’analisi parte proprio dalla constatazione del nuovo modo di “fare informazione”, basato quasi esclusivamente sulla reattività profusa del “copia-incolla” a scapito della raccolta metodica di informazioni originali. A tale paradosso è necessario aggiungere l’impatto dei social network divenuti oggi, specie tra i giovani, il principale veicolo di informazione. Occorre, dunque, riflettere con attenzione sul rapporto tra informazione e notizia. La rete è una risorsa del sapere preziosissima in quanto consente ad un lettore accorto di verificare la fonte dell’informazione, di aprire dibattiti, di confrontare da molteplici punti di vista la trattazione di una tematica. Tuttavia la rete ha altresì reso l’informazione più “liquida” attribuendole una maggiore velocità; il rischio concreto diventa dunque quello di fermarsi alla mera notizia veicolata spesso da un social o da un app di messaggistica istantanea.
Quanto è cambiato il mondo dell’informazione a seguito del dilagare delle fake news in rete?
Morcellini: La nostra società si trova a vivere una condizione paradossale: nell’epoca della sovraesposizione informativa, delle fonti diffuse, del “tutto subito” nessuno sente il bisogno di controllare la veridicità delle informazioni fornite dalla rete che, consciamente o inconsciamente, contribuisce a far circolare. Il fenomeno della post-verità (definita, non a caso, parola internazionale dell’anno 2016) è uno dei grandi temi e delle grandi sfide sia per l’Agcom sia per la nostra società. Quel che mi preme in questa sede sottolineare è che le false notizie sono il risultato quasi matematico da un lato del “populismo comunicativo”, dall’altro della disintermediazione. Le informazioni non hanno più bisogno dell’onere della prova, di dimostrarsi attendibili, di essere veicolate e in qualche misura attestate da un professionista del settore. Dunque tale tematica diventa una sfida molto importante per l’Agcom determinata non solo a riflettere sulla diffusione delle false notizie ma ad affrontare, più in generale, la crisi della comunicazione che ha ridotto la verità dei fatti a bolle di parole. Occorre quindi dialogare con le Istituzioni ma anche, e soprattutto, con il lettore, telespettatore, consumatore, internauta e dunque con i cittadini al fine di accrescere la consapevolezza del valore della “vera notizia”.
Posteraro. Il fenomeno delle cosiddette bufale è sempre esistito, anche sui media tradizionali. Il problema ora è rappresentato dalla velocità con cui si propagano le violazioni online e dall’ampiezza in termini di diffusione che possono raggiungere, che è globale. Sono aspetti che riguardano tutte le violazioni che si commettono online: non solo fake news, ma anche cyberbullismo, hate speech, violazioni del diritto d’autore. La repressione delle fake news è peraltro assai più complicata di quella delle altre violazioni, più facili da valutare secondo criteri obiettivi. Da più parti si invoca l’intervento di organismi di fact checking, ma ho molti dubbi che questa sia una strada praticabile. Possono organismi privati arrogarsi il diritto di stabilire cosa è vero e cosa non lo è? Come ha avuto occasione di chiarire il Capo dello Stato a proposito della tutela della proprietà intellettuale, la strada è piuttosto quella di cercare di rendere efficaci, anche nei confronti delle violazioni commesse online, gli strumenti ordinari di tutela dei diritti e le risposte da essi fornite alle domande dei cittadini.