Digital transformation, per i beni culturali italiani la strada è ancora lunga. Carenza di budget e competenze ad hoc, esperienze online non sempre all’altezza della domanda, scarso utilizzo delle nuove tecnologie, insufficiente attitudine delle istituzioni all’innovazione fra i punti critici di una visione che rischia di far perdere al settore molti vantaggi. Eppure le premesse ci sarebbero: 6 italiani su 10 sarebbero disposti a pagare 3 euro per una visita guidata di un museo effettuata a distanza in compagnia del direttore o di un esperto a sua completa disposizione.
Lo scenario viene disegnato dal XII Rapporto Civita – realizzato in collaborazione con Icom Italia – dal titolo Next Generation Culture. Tecnologie digitali e linguaggi immersivi per nuovi pubblici della cultura (edito da Marsilio Editori e realizzato grazie al sostegno di Igt), presentato all’Auditorium – Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Lo studio punta a “fornire un contributo per lo sviluppo, da parte degli operatori culturali, di strategie innovative di valorizzazione e gestione del patrimonio, necessarie in particolare nella fase che stiamo attraversando”.
Piccoli e medi musei alla sfida digitale
Per i musei il 2020 è stato un anno di sondaggi per indagare gli impatti della pandemia. Il confronto fra i risultati di diversi sondaggi, analizzati da Barbara Landi e Anna Maria Marras di Icom Italia, evidenziano in Italia e a livello internazionale, si legge nel report, un “significativo incremento dell’offerta digitale dei musei, principalmente attraverso un’intensificazione delle attività sui vari social media già in uso, l’attivazione di nuovi canali (in primis YouTube) e la realizzazione di nuovi contenuti (nella forma di tour virtuali, video, live webinar e podcast). Ma è sufficiente? Circa la metà del campione di musei analizzato ha sopperito alle necessità dettate dalla pandemia attraverso una revisione dell’organizzazione interna, purtroppo spesso non supportata da nuove risorse, economiche e/o umane.
L’emergenza ha messo in evidenza che il rapporto tra musei e digitale è complesso, variegato e non sempre al passo con i tempi e i modi che la liquidità e la pervasività tecnologica impongono per destare l’interesse in particolare delle generazioni più giovani. Sono soprattutto i piccoli e medi musei che faticano, spesso per carenza di budget e di competenze, a tenere il passo con l’evoluzione del digitale.
L’impatto sugli utenti
Secondo l’analisi di Annalisa Cicerchia e Ludovico Solima di un sondaggio lanciato online dalla DG Musei del Mic il 72% dei rispondenti (soprattutto di genere femminile) ha visitato siti Internet o profili social di musei, italiani o stranieri, e ha avuto la possibilità di accedere a tali nuovi contenuti. Sito del museo, Facebook, YouTube e Instagram sono state le piattaforme e i canali prescelti, rispettivamente dal 74%, 56%, 38% e 36%. I contenuti preferiti e maggiormente apprezzati sono stati i video (76%), le foto (56%), conferenze e seminari on line (34%).
Inoltre la comunicazione rimane prevalentemente mono-direzionale e con uno scarso grado di interazione, considerato che il 73% di coloro che hanno frequentato siti e profili social dei musei si è astenuto da qualunque tipo di feedback. Quasi 7 rispondenti su 10 ritengono, tuttavia, che una proposta digitale di elevata qualità potrebbe contribuire al rilancio delle visite in presenza e ben 6 su 10 sarebbero disposti a pagare 3 euro per una visita guidata di un museo effettuata a distanza in compagnia del direttore o di un esperto a sua completa disposizione.
Il rapporto con la realtà virtuale
Secondo l’analisi di Claudio Calveri la quantità (se non la qualità) dell’esperienza online offerta dai musei durante l’ultimo anno non è stata in grado di garantire la costruzione di una relazione digitale continuata e significativa con gli utenti, probabilmente per una carenza di visione strategica complessiva, oltre che di efficacia dello strumento specifico della VR. Non potendo contare su un palinsesto coordinato di attività online, i musei hanno perso l’occasione dell’abbrivio regalato loro dalla situazione del pubblico, incuriosito e motivato in particolare sul tema dei tour virtuali. Generalmente, infatti, emerge – in Italia come all’estero – un diffuso, tendenziale favore degli utenti nei confronti dell’apertura (ancora in fase primordiale) delle organizzazioni culturali a un’offerta calibrata sulla VR, che si sviluppa di pari passo all’acquisizione di una maggiore propensione all’alfabetizzazione tecnologica di entrambe le parti, operatori e pubblico.
Le imprese Ict applicate al settore
La dimensione dell’innovazione alimentata dall’ecosistema di aziende tecnologiche che offrono servizi e prodotti avanzati per il settore culturale e turistico è al centro dell’indagine svolta da Alfredo Valeri. Si tratta per lo più di imprese giovani, startup innovative con una decina di addetti, nate talora come spinoff universitari e localizzate prevalentemente nel Lazio, in Lombardia, nel Veneto, in Campania e in Sicilia.
Le tecnologie in gioco
La convergenza di trend tecnologici che riguardano il machine learning e l’intelligenza artificiale, l’acquisizione e la visualizzazione in 3d nell’ambito di soluzioni immersive, la diffusione di dispositivi mobili e indossabili, sino alla standardizzazione del 5G, sta generando impatti sempre più dirompenti sulle modalità con cui i contenuti culturali vengono fruiti dall’utente, oltre che sui processi creativi e sulle dinamiche di gestione dei flussi e di allestimento degli spazi culturali.
Guardando al mercato, fra i principali ambiti in espansione spiccano l’intersezione tra arte e videogiochi, con la gamification che si propone come supporto per coinvolgere in chiave ludicodidattica soprattutto i pubblici giovani; la sperimentazione di modalità innovative di applicazione della realtà virtuale; la creazione di piattaforme che, grazie alla computer vision, riconoscono opere d’arte consentendo all’utente di visualizzare contenuti multimediali extra sul device e orientarsi lungo percorsi tematici; l’applicazione in ambito turistico di tecnologie immersive in grado di condizionare il processo di scelta e acquisto di destinazioni/esperienze; la realizzazione negli spazi urbani di opere digitali in realtà aumentata, fruibili attraverso l’utilizzo di smart device e appositi visori.
I punti critici nella spinta innovativa
Emergono elementi di criticità che incidono nelle interazioni fra gli attori del sistema. Molti sono riscontrati in capo ai soggetti pubblici responsabili del settore culturale. Fra questi, la loro eccessiva autoreferenzialità; la mancanza di competenza tecnologica (evidente spesso nei bandi e capitolati pubblici); la diffidenza nei confronti delle tecnologie immersive; la scarsa attitudine alla sperimentazione dell’innovazione.
Il decalogo per il rilancio
E’ necessario – emerge dallo studio – ripensare i modelli organizzativi e valorizzare in modo innovativo il patrimonio culturale, favorendo attraverso il digitale un’accessibilità molto più ampia ed inclusiva rispetto al passato. Fondamentale che sia elaborata dall’istituzione culturale una web strategy per definire le scelte digitali, i target, i linguaggi, le policy e le modalità e gli strumenti di monitoraggio con le relative metriche.
Dall’analisi sviluppata nel Rapporto si ricava un decalogo di regole-chiave per la comunicazione dei musei: essere digitalmente presenti; privilegiare la comunicazione per immagini; pensare i palinsesti e produzioni innovative; adattare la visualizzazione ai formati mobile; interagire e rispondere sempre al pubblico; rendere il museo un luogo della scoperta e dell’immaginazione; essere chiari negli obiettivi e dinamici nelle strategie; rafforzare la dimensione ludica del museo; sviluppare nuovi approcci narrativi e di storytelling; garantire un ascolto costante della propria audience.
Per questo, in termini di policy è possibile definire alcune priorità strategiche: intanto individuare quali siano le reali esigenze del settore culturale, mettendole in relazione con le risorse e le soluzioni tecnologiche esistenti. Per garantire la sostenibilità dei processi occorre vedere nell’innovazione tecnologica nuovi modelli di business e non semplicemente un accompagnamento e/o una sostituzione di modelli esistenti.
Le strategie da adottare
Serve dunque, secondo Civita, adottare una visione di lungo periodo ancorata alla capacità di far rete fra operatori, imprese e istituzioni culturali, sfruttando la tecnologia come fattore abilitante.
Garantire, da parte delle PA, un investimento nelle digital skills all’interno delle istituzioni culturali, ad esempio mediante la costruzione di una piattaforma condivisa utile soprattutto ad operatori di piccola dimensione e budget ridotti.
Progettare modelli data driven di misurazione delle performance, che garantirebbero più elevati standard di efficacia ed efficienza alle soluzioni innovative adottate.
Immaginare uno sviluppo delle esperienze ludico-didattiche da vivere all’interno degli spazi culturali e da veicolare all’esterno attraverso soluzioni e strumenti digitali, creando opportunità di fruizione diffusa per intercettare la domanda ancora inespressa dei più giovani.
Attuare uno sforzo collettivo di community building per rafforzare il senso di appartenenza della società civile al patrimonio storico-artistico dei territori, considerando la comunità quale protagonista del concetto di “patrimonio culturale aperto” fatto non solo di beni da tutelare ma di esperienze da vivere.