Una “Uber” per sole donne. Dove autisti e passeggeri possono essere solo donne. È questa l’idea venuta a un ex autista di Uber, Michael Pelletz che a Boston ha già attivato il servizio da metà aprile e che punta a estendersi in altre città. Chariot for Women, questo il nome della startup e dell’omonima app, esattamente come Uber consente di localizzare le auto più vicine e di prenotare il servizio in tempo reale. Unica differenza, il servizio è riservato alle donne.
“La questione della sicurezza degli autisti e dei passeggeri è amplificata quando si tratta di donne”, sottolinea Pelletz evidenziando che il servizio è nato proprio per rispondere a una maggiore esigenza di sicurezza. “Vogliamo fare una sorta di servizio sociale dando la possibilità alle donne di sentirsi più sicure”, aggiunge Pelletz puntualizzando inoltre che Chariot for Women devolverà il 2% degli incassi ad attività di beneficienza senza alcuna “fee” a carico delle associazioni destinatarie. Non a caso la procedura per prenotare l’auto è accompagnata dall’emissione di un codice di “sicurezza” che solo se validato da entrambe le parti (autista e passeggera) potrà avviare la prenotazione dell’auto.
Nonostante la “bontà” del servizio la startup americana è però finita nel ciclone delle polemiche, accusata – contro ogni previsione – di “discriminare” gli uomini. Non si tratta di una polemica da dibattito “sociale”: la questione è di tipo legale, tant’è che Pelletz ha già dovuto rivolgersi agli avvocati per verificare eventuali incongruità e ancor peggio violazioni delle normative legate alle pari opportunità. “Stiamo affrontando la questione, ma quando andremo davanti alla Corte Suprema dimostreremo che qui non c’è in ballo la diseguaglianza quanto piuttosto la sicurezza delle persone. E che non c’è niente di sbagliato ad offrire alle donne un servizio dedicato”, dice il fondatore di Chariot for Women.
Che la questione della sicurezza stia diventando sempre più determinante lo dimostrano peraltro le migliaia di proteste contro Uber, legate alla denuncia di episodi di violenza sessuale e rapine che hanno coinvolto indirettamente o direttamente la società. Nel 2014 in India un autista Uber è stato arrestato perché accusato di aver rapinato un passeggero. E lo scorso 10 aprile la società ha deciso di pagare una molta da oltre 25 milioni di dollari per chiudere un processo civile a San Francisco e a Los Angeles. L’accusa contro la società è il mancato rispetto delle norme di sicurezza stabilite dalla legge delle California, riguardo alla tutela dei passeggeri e ai controlli in capo agli autisti. Dei 25 milioni, 15 serviranno alla società per mettersi in regola: una delle questioni sul piatto riguarda il controllo della fedina penale degli autisti.