BANDA LARGA

Net neutrality, è scontro fra Obama e i Repubblicani

Il futuro del broadband diventa un tema politico. I conservatori non vogliono “blindare” la Rete e sono pronti a fare dura battaglia fino alle presidenziali del 2016

Pubblicato il 10 Feb 2015

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Mentre si avvicina il momento della verità sulla net-neutrality (la Federal Communication Commission si pronuncerà al riguardo il 26 prossimo), è ormai evidente che negli Stati Uniti l’effettivo status della banda larga – servizio pubblico con possibilità di forte regolamentazione o servizio informativo soggetto al solo regime del mercato – è solo una parte dello scontro attualmente in corso sulla questione.

Partita come discussione su quale dovesse essere la modalità giusta di governo della Rete, la questione della net-neutrality è progressivamente diventata il catalizzatore di uno scontro innanzitutto politico rispetto al principio e alla legittimità dell’intervento e della regolamentazione istituzionale dell’agorà economico-sociale statunitense.

L’osservazione trova conferma sia nel fatto che il Presidente USA Barack Obama ha inserito il suo pronunciamento a favore della net-neutrality in una serie di prese di posizioni tali da lasciar intravedere una battaglia quasi ideologica sia dal tipo di reazione dei gruppi politico-istituzionali che avversano la riclassificazione della banda larga sotto il Titolo II del Communication Act, il passo che aprirebbe le porte a possibili interventi di regolamentazione stringente del servizio.

Riguardo alla prima circostanza, va innanzitutto ricordato che la presa di posizione assunta a novembre dall’amministrazione Obama sulla net-neutrality è stata insolitamente prescrittiva e dettagliata, considerando che la materia è di pertinenza di un’agenzia federale indipendente, la FCC, per quanto il chairman sia di nomina presidenziale. Tant’è vero che all’indomani del pronunciamento di Obama molti osservatori notarono come la discesa in campo presidenziale in quei termini lasciasse margini di manovra quasi nulli a Tom Wheeler, il chairman della FCC. Non a caso, dopo le indiscrezioni sulla proposta presentata per approvazione da Wheeler al consiglio FCC, gli strali degli oppositori si sono concentrati, come vedremo più sotto, su Obama e non sul chairman FCC.

Passato poco più di un mese dal pronunciamento sulla net-neutrality, Obama è poi di nuovo intervenuto in materia di banda larga e Internet. Nell’occasione il presidente ha esortato la FCC a emanare una disposizione che precluda ai singoli Stati la promulgazione di leggi che impediscano alle municipalità locali la creazione di network e servizi di banda larga. Lungi dall’esser inteso come il viatico a una maggior concorrenza, l’effetto di tale disposizione è considerato dai sostenitori del mercato alla stregua di un indebito intervento pubblico. Soprattutto alla luce dell’altro provvedimento preannunciato dall’Amministrazione, ovvero la messa a disposizione da parte dei Dipartimenti del Commercio e dell’Agricoltura di fondi e prestiti mirati a finanziare la creazione di piccoli network cittadini e rurali. Come se non bastasse, questi interventi specifici sulla Rete e sulla sua infrastruttura hanno finito per incrociarsi con il recente annuncio presidenziale di voler perseguire una riforma mirata a chiudere le scappatoie fiscali di cui godono oggi le corporation USA.

Non sorprende quindi la levata di scudi proveniente sia da grandi carrier e ISP commerciali che dal versante repubblicano dello spettro politico. Ma i primi hanno comunque la necessità di metter in conto quella che potrebbe diventare la prossima realtà del mercato – e quindi, al di là di minacce più o meno velate di tagliare gli investimenti pianificati, stanno predisponendosi ad operare in uno scenario di net-neutrality forte. Dal versante politico e culturale conservatore invece la reazione ha assunto toni ultimativi. È vero che in Congresso circola una bozza di legge di matrice repubblicana che accetta i punti qualificanti della net-neutrality – ma, va detto, include il caveat del “reasonable network management” (che lascerebbe spazio di manovra ai grandi ISP) e l’eliminazione del potere della FCC di regolamentare la banda larga. Intanto però si dipinge l’imminente net-neutrality come la ‘collettivizzazione di Internet’, con una Rete ridotta ad ‘azienda di pubblica utilità, finanziata con nuove tasse e con la distruzione degli investimenti privati e della concorrenza’, come affermato da vari notabili conservatori, da Phil Kerpen di American Commitment al senatore repubblicano Rand Paul. La definizione della posizione presidenziale sulla net-neutrality come di un ‘Obamacare per Internet’ – data da Ted Cruz, uno dei giovani senatori repubblicani più promettenti – la dice lunga su come è ormai inquadrata la battaglia sul governo della Rete.

Con queste premesse la sensazione è che il pronunciamento della FCC previsto per il 26 di febbraio non scriverà l’ultima pagina sulla net-neutrality ‘made in USA’. È certamente di questo avviso l’ex chairman FCC e oggi capo della National Cable & Telecommunications Association, Michael Powell, che avverte: “Credo che i Repubblicani porteranno la questione fino alle elezioni del 2016 (quelle per il successore di Obama, ndr): ormai è un imperativo politico – proprio come lo è diventato per Obama”.

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