Le premesse dello scontro in corso negli Usa fra sostenitori e oppositori del principio di net neutrality che, nella sua formulazione più semplice, vuole che un Isp tratti ogni contenuto Internet in modo paritetico in termini di velocità, risalgono al 2002. In quell’anno, la Federal Communications Commission (Fcc), l’agenzia governativa che regola radio e telecomunicazioni negli Usa, ebbe l’opportunità di classificare la banda larga sotto l’ormai famoso Title II del Communications Act che regola i servizi di telecomunicazioni. L’equiparazione a servizio di pubblica utilità – alla stregua del servizio telefonico – avrebbe reso possibile, anzi ovvio, l’assoggettamento dei servizi Internet alla regolamentazione federale. Ma la scelta fu invece di classificare la banda larga sotto il Title I, ovvero quale “servizio informativo”, una categoria di servizi di comunicazione (nei quali ricadono servizi quali Netflix e Facebook) per la quale la legge prevede poteri di regolamentazione quasi nulli da parte della Fcc.
A dire il vero nel 2010 la Fcc contraddisse la scelta fatta otto anni prima e, con un’interpretazione estensiva della Section 706 del Telecommunication Act del 1996, cercò di imporre principi di net neutrality alla banda larga. La decisione fu però impugnata da Verizon. A gennaio di quest’anno il ricorso di Verizon è stato accolto dalla Corte d’Appello di Washington D.C., sulla base del principio che la Fcc non poteva imporre una regolamentazione da “servizio di telecomunicazioni” alla banda larga senza preliminarmente riclassificarla quale servizio di pubblica utilità.
I sostenitori della net neutrality hanno quindi iniziato a premere sulla Fcc affinché facesse proprio questo: riclassificasse la banda larga sotto il Title II. Ma i dieci anni da “servizio informativo” hanno lasciato il segno e forniscono ai vari giganti dell’Ict – fra cui Verizon, Comcast, At&T – un precedente cui fare riferimento per opporsi strenuamente ad una simile riclassificazione (si veda articolo relativo). Di qui i tentativi da parte della Fcc e del suo capo Tom Wheeler, di immaginare possibili soluzioni di compromesso. Queste contemplerebbero la possibilità che gli Isp creino, qualora ciò sia “commercialmente ragionevole”, corsie preferenziali da riservare a pagamento a certi contenuti online. L’idea è respinta dai sostenitori della net neutrality, per i quali configura comunque una violazione del principio di parità di trattamento dei contenuti Internet. L’opinione negativa su tali soluzioni “ibride” è stata ribadita dalla stragrande maggioranza dei 4 milioni di commenti espressi nell’ambito della consultazione pubblica cui è stato sottoposto il piano “Protecting and Promoting the Open Internet” elaborato dalla Fcc.
Non a caso, il presidente Usa Barack Obama ha fatto riferimento proprio a questi 4 milioni di americani nel suo recente pronunciamento a favore della net neutrality. Ricordando che “un’Internet aperta e libera” era parte del suo programma elettorale, Obama ha delineato 4 regole essenziali che, a parer suo, dovrebbero caratterizzare l’Internet del ventunesimo secolo. Queste impedirebbero agli Isp di determinare quali siti possono essere raggiunti o di rallentare l’accesso a certi siti o di offrire “corsie veloci” a pagamento, e infine sancirebbero l’applicabilità della net neutrality non solo fra Isp e utente ma anche nei punti di interconnessione fra Isp e il resto della Rete. L’unico modo perché principi simili possano essere resi vigenti è, come suggerisce lo stesso Obama, quello di riclassificare il servizio di banda larga sotto il Title II – un’opzione che alcuni definiscono “l’opzione nucleare”, perché se implementata comporterebbe un totale reset nei rapporti fra giganti Ict e autorità di controllo.
La clamorosa discesa in campo del Presidente, destinata ad attrarre l’attenzione anche dell’opinione pubblica meno attenta a queste tecnicalità e la conseguente crescente radicalizzazione delle posizioni in campo, sembrerebbero annullare ogni spazio di compromesso. In altre parole, la net neutrality diventerebbe a questo punto funzione diretta della riclassificazione della banda larga quale servizio di telecomunicazione. Una simile impostazione lascia pochissimi margini di manovra a Wheeler, che non a caso, poco dopo l’intervento di Obama, ha emesso un comunicato in cui prendeva tempo, non pronunciandosi né a favore né contro “l’opzione nucleare”.
La figura del Presidente della Fcc diventa a questo punto centrale, anche nell’analisi degli osservatori che cercano di capire come potrebbe evolvere la situazione in futuro. Da un lato si fa notare che Wheeler e Obama potrebbero aver giocato al “poliziotto cattivo, poliziotto buono”: il primo facendo trapelare le soluzioni “ibride” così invise all’opinione pubblica, il secondo scendendo in campo con la sua autorità, spianando la strada alla riclassificazione della banda larga. Dall’altro c’è chi ricorda che Wheeler ha un passato da lobbista del settore delle telecom ed è stato presidente della National Cable & Telecommunications Association (Ncta) – oggi duramente opposta alla net neutrality – ed è quindi naturalmente poco disponibile a fare un passo così inviso ai giganti Ict. A far da sfondo a tutto ciò c’è il fatto che la Fcc è – lo stesso Obama lo ha ricordato, secondo alcuni maliziosamente – un’agenzia indipendente che ha l’ultima parola sulla questione, ma il cui capo è nominato (e quindi potenzialmente anche rimosso) dal Presidente.