I video di YouTube, le foto di Instagram, i social media come Facebook e Snapchat, i film e le serie di Netflix e Hulu: il business della Tv tradizionale è messo a dura prova dai nuovi player e i broadcaster americani cominciano a misurare le conseguenze della migrazione di porzioni sempre più vaste di audience (giovani soprattutto, ma non esclusivamente) dalla Tv lineare verso i servizi on-demand.
Le grandi reti televisive statunitensi hanno cominciato a suonare i primi campanelli d’allarme lo scorso autunno: aziende come Viacom, 21st Century Fox, Comcast (proprietaria di NBCUniversal) e Walt Disney hanno riportato un calo degli introiti pubblicitari su diversi canali. Todd Juenger, senior analyst di Bernstein Research, ha definito questi dati “allarmanti” e “senza precedenti”.
Il trend non si è più attenuato ed è rispecchiato dai più recenti risultati. Viacom ha perso il 18% della sua audience (secondo l’analisi di Moffett Nathanson su dati Nielsen), Nickelodeon, il canale per ragazzi, ha perso il 17% ed Mtv il 14%.
Per ora gli utili di Viacom reggono ma il Ceo Philippe Dauman ha messo in guardia su radicali cambiamenti in corso nelle abitudini dei consumatori. E Jeff Bewkes, Ceo di Time Warner, che possiede reti come Cnn ed Hbo, ha di recente dichiarato che la televisione si trova “nel mezzo di un epocale passaggio verso il consumo on-demand”.
La perdita di spettatori vuol dire per aziende come Viacom meno entrate pubblicitarie ma anche meno potere di negoziazione con i fornitori della pay-tv che offrono i loro canali. Il prezzo è troppo alto, gli spettatori non tanti come un tempo: Viacom sparisce d’un colpo dal bouquet di diversi provider.
I gruppi tradizionali si difendono spiegando che i loro programmi non stanno veramente perdendo spettatori, ma che gli spettatori, specialmente i giovani, accedono da nuove piattaforme, dagli smartphone alle consolle, e puntano il dito contro Nielsen, i cui indici di ascolto sono la moneta da cui dipende il mercato della pubblicità televisiva in America. Viacom sostiene che le misurazioni di Nielsen non hanno tenuto il passo con l’avvento dei nuovi device usati per consumare contenuti Tv. Anche Discovery Channel ha accusato Nielsen di nuocere con rating antiquati all’industria dei broadcaster, tanto che la società di analisi ha annunciato che già quest’anno introdurrà nuovi strumenti per misurare l’audience e includere anche la visione dai nuovi device digitali.
“Il calo degli ascolti in effetti è per lo più uno spostamento della visione su altri device che non abbiamo finora misurato”, riconosce Megan Clarken, executive vice-president of global digital products di Nielsen. Tuttavia la Clarken osserva che oggi i consumatori hanno molta più scelta che in passato e il mercato del video è diventato molto più competitivo anche perché gli attori di Internet producono contenuti originali. Tra questi ci sono Netflix, Amazon e YouTube e lo stesso Juenger di Bernstein Research osserva che la televisione sta attraversando una migrazione “strutturale” dalle reti finanziate con la pubblicità ai servizi di video in streaming e “non credo che l’audience che si sposta verso il video streaming on-demand tornerà indietro dai broadcaster”, avverte.
Per le aziende tradizionali non c’è scelta: devono potenziare gli spot sulle loro piattaforme (tradizionali e online, con più minuti di pubblicità sia in Tv che su canali come YouTube) e continuare a investire pesantemente in contenuti e programmi originali: “Per impedire la distruzione del loro modello di business, i broadcaster devono puntare sul fatto che i contenuti che la maggior parte della gente guarda sono ancora quelli prodotti dai grandi brand”, sottolinea Toby Syfret, analista di Enders Analysis.