L'INTERVISTA

Nethive, Bellato: “Investire in cybersecurity è un vantaggio competitivo”

“Puntare su ricerca e sviluppo è fondamentale, il cybercrime è in continua evoluzione”. Fatturato 2023 verso i 16 milioni, raddoppio dei dipendenti solo nell’ultimo anno. L’azienda di Limena ora punta a espandersi in Africa, Medio Oriente e America Latina

Pubblicato il 16 Giu 2023

Bellato

Raddoppio dei dipendenti dai 36 del 2021 ai 75 del 2022, balzo del fatturato salito a 12,5 milioni di euro e un ebitda a quasi 3 milioni. E per la fine del 2023 si punta a revenues consolidate per oltre 16 milioni. Cresce a ritmi record Nethive, una vera e propria “boutique” per la sicurezza informatica che è riuscita a farsi strada con le proprie soluzioni: 10 milioni i dispositivi che in Italia sono abilitati dalle piattaforme by Nethive e il 60% delle telco ha già bussato alla porta dell’azienda di Limena, in provincia di Padova. E nella lista dei clienti un numero sempre crescente di aziende ed enti della pubblica amministrazione.

La storia di Nethive

Fondata nel 2014 da Alessandro Bellato e Diego Rocco, Nethive è specializzata in cybersecurity e system integration – anche grazie allo sviluppo di sofware proprietario – e conta su un Ns-Soc (Network security operation center) e un Cy-Soc (Cyber security operation Center) e su un’ampia serie di partner, dai vendor Fortinet a Cisco, da Qualys a SentinelOne e Huawei. Quattro le sedi: il quartier generale di Limena e poi Padova, Milano e Madrid.

L’ingresso del fondo Alcedo IV di Alcedo Sgr che ha rilevato, con un’operazione mista di aumento di capitale e acquisto quote, il 53% di Nethive, è stato una spinta enorme per poter investire maggiormente in ricerca e sviluppo (circa il 10% del fatturato). “Il cybercrime muta e si evolve continuamente e occorre sempre essere innovativi”, spiega Bellato, Co-founder e Owner di Nethive, a CorCom.

Bellato, a inizio anno avete varcato i confini nazionali. È l’avvio di una campagna di internazionalizzazione?

A dicembre 2022 abbiamo acquisito il 70% della società italiana Xech Srl, con sede a Milano  e di quella spagnola (Xech Iberia) con sede a Madrid, focalizzata nella gestione di piattaforme di monitoring avanzato, gestione dei processi di autenticazione e log management per i mercati telco e Large Enterprise. L’operazione permette a Nethive di rafforzare la business line altamente strategica di sviluppo software proprietari e di ampliare il portfolio prodotti tramite l’acquisizione di soluzioni già affermate sul mercato, facilmente integrabili con quelle attualmente offerte e altamente complementari. Puntiamo a espanderci in America Latina, in Medio Oriente (Emirati Arabi, Arabia Saudita, etc) e soprattutto in Africa (Camerun, Kenya, Algeria e Libia), dove c’è un grande potenziale, con elevati investimenti in telco e in nuove tecnologie e dove rileviamo il fermento nell’ambito delle telecomunicazioni che c’era nell’Italia degli anni ’90.

A proposito del nostro Paese, c’è oggi più consapevolezza dell’importanza della cybersecurity rispetto al passato?

Sì, nel corso degli anni abbiamo visto la sicurezza informatica diventare parte integrante dei processi aziendali con un’accresciuta consapevolezza. E riteniamo che crescerà ulteriormente in futuro sia sul versante del business che su quello personale e familiare. Le aziende, come le Pa e le singole persone, sanno quali danni possa comportare alla propria attività e in ambito familiare un attacco informatico. Tutti abbiamo la consapevolezza che nessuno è immune da una minaccia o da un attacco, a meno che non sia ben protetto.

La transizione digitale sta accelerando la diffusione della cybersecurity?

La cybersecurity è una sfida della trasformazione digitale. È una fetta dell’investimento che un’azienda deve sostenere per la propria transizione digitale. Ma è fondamentale capire che la cybersecurity non è mai un costo, piuttosto è un investimento con un duplice valore. Da un lato, protegge il proprio business e con esso tutto il suo ecosistema, i suoi stakeholder. Dall’altro, investire nella cybersecurity è un vantaggio competitivo perché proteggendo se stessi si protegge l’intera filiera di appartenenza. L’esperienza ci dice che un’azienda sicura predilige siglare contratti con realtà altrettanto sicure.

La cybersecurity è anche una rivoluzione culturale?

Certamente. Vent’anni fa in Italia la cybersecurity era una sorta di commodity. Pagavamo un grosso gap con il mondo anglosassone. Basti ricordare che figure professionali come il security officer erano una rarità. Oggi lo scenario è cambiato. La sicurezza informatica ha un valore maggiore.

Ci sono settori economici più protetti e altri meno?

Quello finanziario lo è di più perché maggiori negli anni sono stati gli attacchi che hanno subito. Minor sicurezza c’è invece nel comparto manifatturiero. Sta crescendo molto, invece, la cybersecurity nel ramo sanitario sia pubblico che privato e dove nel mirino degli hacker ci sono non solo le reti ma anche i dispositivi elettromedicali.

HiveFlow4C e HiveFlow4B due dei vostri “gioielli”, di cosa si tratta?

Sono due soluzioni che non smettiamo di ampliare e aggiornare. HiveFlow4B è la soluzione multi-tenant più performante per consentire a piccole e grandi aziende di gestire ambiti di visibilità e cybersecurity su grandi flotte di dispositivi umani e IoT connessi alla rete mobile e fissa. È una soluzione agentless per gestire in autonomia le policies del traffico dati, ridurre costi e consumi elevati relativi al roaming e incrementare sensibilmente la produttività delle imprese. Per il mondo consumer nel 2018 abbiamo sviluppato HiveFlow4C, la soluzione di parental control e digital wellness per le famiglie in ambito telefonia fissa e mobile (5G ready) che continua ad avere un ottimo successo.

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