Digitale e sostenibile, l’Italia del post-Covid deve fare leva su questi due pilastri per disegnare un nuovo modello di sviluppo, più equo ma anche più competitivo. Delle azioni che serve mettere in campo, utilizzando i fondi del Next Generation Eu, ne parliamo con il presidente di ASviS, Pierluigi Stefanini.
L’ASviS ha presentato il rapporto sul Pnrr. Che cosa è emerso in relazione ai progetti di digitalizzazione in senso ampio, dalla PA fino alle imprese?
Dobbiamo partire dal documento approvato dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio e che il nuovo governo è già impegnato a modificare e integrare, come esposto dal ministro Colao in occasione del nostro evento del 9 marzo, dedicato appunto all’esame del Piano. Rispetto a quella stesura, ci sono alcuni aspetti del Pnrr da migliorare. Un tema delicato è quello della connettività dedicata al mondo dell’impresa, che però non viene trattato nell’attuale versione del Piano. Dobbiamo fare il possibile per accelerare il completamento delle misure previste per Industria 4.0/Transizione 4.0 e, sotto il profilo occupazionale, riconoscere il ruolo delle nuove generazioni nel “digital make”, un fattore che può essere un vero traino per l’economia nazionale. È necessario poi trattare in modo sistemico il tema della trasformazione digitale, prendendo come riferimento quanto deciso dall’Ue e predisponendo un piano di azione inerente le sfide poste dalla Strategia europea per il digitale. Mancano infine risorse congrue per poter fornire al Paese una rete a banda ultra-larga, indispensabile per permettere a tutti di usufruire degli stessi servizi abbattendo così le barriere del “digital divide”, anche per quanto riguarda la competitività delle imprese,.
Quali criticità e quali, invece, gli aspetti positivi?
In generale, molti contenuti del Pnrr vanno nella giusta direzione, e l’impostazione del documento è conforme alle richieste europee. Tuttavia, se vogliamo ottenere i 209 miliardi di euro, la parte dei fondi europei che toccano all’Italia, ci sono una serie di modifiche da apportare nel più breve tempo possibile. Ricordo che entro aprile il Pnrr va inviato alla Commissione europea. Innanzitutto, sarebbe opportuno che le sei missioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza coincidessero con i sei pilastri delle linee guida Ue. Inoltre, nell’attuale documento, mancano obiettivi quantificabili, non solo quelli finanziari e servono strumenti adeguati per monitorarne l’attuazione. Su quest’ultimo punto, si potrebbero utilizzare i Target dell’Agenda 2030. Altre criticità emergono dalle riforme di sistema, che vanno esplicitate poiché sono quelle che guidano gli investimenti, così come le metodologie per la valutazione d’impatto che il Pnrr avrà sugli ecosistemi e la società. Qualsiasi progetto deve infatti garantire il principio del non nuocere all’ambiente. Segnalo infine che ci deve essere maggiore coerenza tra l’uso delle risorse europee e il bilancio statale. Non possiamo pensare di spendere il 37% del Next Generation Italia in transizione ecologica, come richiesto dall’Europa, mentre lo Stato italiano continua a spendere 19 miliardi di euro l’anno in sussidi dannosi all’ambiente.
Il governo Draghi ha battezzato due ministeri chiave per la ripartenza post Covid: Transizione ecologica e Transizione digitale. Come e su che fronti dovrebbero operare insieme?
Il ministero della Transizione ecologica e quello della transizione digitale sono fondamentali per la trasformazione in chiave sostenibile del Paese e, tra l’altro, sono chiamati a gestire buona parte dei fondi europei. Dobbiamo fare in modo che questi, ma anche altri ministeri centrali per il processo di trasformazione come quello delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, operino in modo congiunto. Come l’Agenda 2030 raccomanda, serve un nuovo approccio delle politiche basato su una visione sistemica. Facendo leva sulle tecnologie più innovative, possiamo accelerare la decarbonizzazione dell’Italia: per esempio l’efficienza energetica richiede l’uso di sistemi intelligenti, ed è anche grazie al digitale che riusciamo a compiere lo stesso tipo di lavoro utilizzando meno energia, evitando così anche gli sprechi. Ma la transizione digitale è importante anche per la creazione di “smart grid” nel territorio nazionale e, in generale, per il passaggio da un sistema energetico nazionale basato sui combustibili fossili a uno basato sulle energie rinnovabili. Insomma, data la connessione di questi temi, i due ministeri non possono far altro che lavorare insieme per l’ammodernamento del Paese, ma non dimentichiamo che questo processo, come richiede la Commissione Europea, deve essere accompagnato da indispensabili riforme che investono molti altri ministeri. Per esempio, nella Pubblica amministrazione, digitalizzare non vuol dire trasferire le “scartoffie” dalla carta al computer, ma innovare profondamente e semplificare i processi.
E invece, ancora in relazione al rapporto sostenibilità-digitale, dove dovrebbero essere investiti i fondi del Next Generation Eu?
Ci sono alcune aree su cui va concentrata la nostra azione. Una di queste è senz’altro la banda ultra larga, che va potenziata sia per ridurre gli squilibri presenti nel Paese e sia per rendere le nostre aziende più competitive. Oggi, inoltre, non poter usufruire di una connessione veloce rappresenta un grosso svantaggio, basti pensare alle difficoltà nate con la didattica a distanza e lo smart working sperimentate negli ultimi tempi. Ma un termometro della sostenibilità è dato anche dai settori di ricerca e istruzione, qui bisogna investire sempre di più in competenze tecnologiche. Anche la Pubblica Amministrazione, come dicevo, deve beneficiare dello sviluppo del digitale, migliorando così il rapporto con i cittadini: obiettivo è migliorare e semplificare la vita di tutti i giorni. Come detto precedentemente, c’è poi il settore energetico dove la digitalizzazione riveste un ruolo importante, e quello della “cyber security”. Su quest’ultimo, il governo deve investire per la diffusione di nuove tecnologie a tutela della sicurezza dei cittadini.
Il Next Generation Eu è un chance imperdibile, quasi l’ultima chiamata per l’Italia…
Ho già messo in evidenza la necessità di cogliere questa occasione per attuare riforme delle quali si avvertiva la necessità già molto prima che scoppiasse la pandemia e la cui mancanza è forse la principale ragione per la quale l’Italia è cresciuta così poco rispetto agli altri Paesi europei negli ultimi vent’anni. Ma queste riforme devono essere viste in un quadro organico. Come ASviS riteniamo che per il processo di trasformazione sia necessario preparare un Piano nazionale di riforme (Pnr) in linea con quanto chiede l’Europa. Un argomento importante di cui si discute poco, perché è chiaro che saranno proprio le riforme a guidare gli investimenti descritti nel Pnrr. Per centrare tutti gli obiettivi, è richiesto un forte impegno delle Pubbliche Amministrazioni e il coinvolgimento dei diversi livelli territoriali. Occorre dunque rivedere la nostra governance e le procedure esistenti per assicurare la rapidità degli interventi; anche qui il ruolo della digitalizzazione diventa centrale. Infine, per un’Italia diversa nei prossimi anni, bisogna assicurare coerenza tra tutti gli strumenti: oltre al Pnrr, le altre risorse europee e il bilancio statale.