Salutato entusiasticamente da molti come “Decreto Turismo Digitale”, arriva in Gazzetta quello che in realtà si chiama “Disposizioni applicative per l’attribuzione del credito d’imposta agli esercizi ricettivi, agenzie di viaggi e tour operator”: un onesto e interessante provvedimento finalizzato a riconoscere facilitazioni fiscali agli operatori della filiera turistica. Le nuove norme prevedono dal 2015 al 2019 il riconoscimento alle imprese di un credito di imposta del 30% dei costi sostenuti per investimenti nella digitalizzazione dell’offerta.
Potranno essere dedotte spese per l’acquisto di siti e portali web e la loro ottimizzazione per i sistemi di comunicazione mobile, di programmi per automatizzare i servizi di prenotazione e vendita on line di servizi e pernottamenti, di servizi di comunicazione e marketing digitale, di spazi pubblicitari su piattaforme web specializzate, di progettazione, realizzazione e promozione digitale di proposte di offerta innovativa in tema di inclusione e di ospitalità per persone con disabilità e di impianti wi-fi.
Bene, anzi: benissimo. Tutto ciò che contribuisce ad alleggerire il carico fiscale di un comparto strategico come quello turistico non può che essere salutato positivamente. Ma per favore, non chiamiamolo “Turismo Digitale”: quella, è tutta un’altra storia (e un’altra partita). Anche perché se c’è un ambito dove abbiamo dimostrato di saper commettere errori spettacolari, questo è proprio il turismo: dal mitico portale “Italia.IT” di rutelliana memoria ai 21 portali regionali turistici (come se i cinesi o gli australiani avessero contezza dell’esistenza della Regione Veneto o Molise), per arrivare al chiacchieratissimo (e, fortunatamente, risparmiosissimo) “Verybello”. L’errore sta nel considerare la PA come player centrale nella partita turistica: pensare che sia lo Stato (o le Regioni, o i Comuni) a dover “mettere su un portale”.
E dire che per capire come fare non ci vuole poi così tanto: basta considerare con attenzione quello che ciascuno di noi fa quando va in Rete per capire dove andare in vacanza. Non c’è probabilmente nulla come il turismo dove il ruolo dell’amministrazione deve concentrarsi esclusivamente su tre fronti: creare le condizioni abilitanti (infrastruttura, competenze e consapevolezza), “garantire il brand Italia” e favorire lo sviluppo di un ecosistema turistico digitale perfettamente definito all’interno del “Piano Crescita Digitale”. Avendo chiaro in mente che non esiste più – da almeno vent’anni – il turismo “generalista”. E che giocare sulle nicchie e sulle code lunghe può rappresentare un’ottima strategia per lo sviluppo del mercato.
Paradossalmente, possono servire molto di più alla filiera turistica italiana interventi statali in materia di sicurezza urbana, di trasporti pubblici e privati (i taxi …), di sanità piuttosto che decine di milioni di euro buttati su portali improbabili o su iniziative di alfabetizzazione informatica degli operatori turistici concepite con logiche vintage. Soprattutto, può servire davvero moltissimo una grande operazione di governo dei dati utili agli operatori turistici. Ed è qui che l’Agid, il Mibact e le Regioni potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Serve un “grande piano” di Big&Open Data per il turismo: raccolta, normalizzazione ed elaborazione di dati da mettere a disposizione degli operatori. Niente che si possa fare coi miseri 6 milioni di Euro (in 5 anni!) stanziati nel Piano Crescita Digitale alla voce “Turismo”. Una cifra ridicola, soprattutto se ci rendiamo conto che su questa partita ci possiamo giocare qualche miliardo di euro di Pil.
Serve anche al Mibact, come in ogni altro Ministero, un Digital Champion che non sia “colui che fa andare avanti i server e i software del ministero”, quanto piuttosto una figura di grande promotore e sviluppatore dell’ecosistema turistico digitale. E la parola chiave, tanto per cambiare, è Governance.
*Direttore Osservatorio Netics