Per i “non iniziati” il Quantified Self può risultare di non facile comprensione, e l’idea di monitorare e registrare ogni momento della propria vita può ricordare ai più i primi, inquietanti esperimenti di lifelogging portati avanti da ricercatori ed artisti durante gli anni ‘90 (come MyLifeBits di Microsoft Research). In realtà, la nuova generazione di gadget connessi agli smartphone può rivestire un’utilità non marginale e contribuire sensibilmente a migliorare la vita quotidiana di molti.
Il panorama, come detto, è frammentato, e, pur esistendo innumerevoli guide, può diventare complesso e time-consuming scegliere il device che meglio si adatta alle proprie esigenze. I dispositivi più popolari ricadono nella categoria dei wristband: si tratta, in sostanza, di braccialetti gommati di differenti forme e colori, dal design sofisticato e accattivante. Al di là dell’aspetto estetico, a rendere differente ciascun articolo dal diretto competitor è la sua dotazione tecnologica.
Se Jawbone Up e Nike Fuelband dispongono di altimetro, e necessitano di una connessione fisica al telefono per l’upload dei dati, per esempio, FitBit Ultra è equipaggiato con un utile display e un comodo chip Bluetooth, mentre Basis, vero e proprio orologio, è in grado di rilevare le pulsazioni grazie a sensori opportunamente collocati sul polso. Dispositivi come il misuratore di pressione della Withings o il rilevatore di glicemia BGStar puntano a sostituire oggetti omologhi non connessi; pur afferendo all’ambito del wearable computing non tutti i dispositivi sono indossabili, come le bilance “smart” Aria di Fitbit e la Smart body Analyzer di Withings, o come Trace, dispositivo finanziato tramite Kickstarter da attaccare a skateboard, biciclette (e molto altro) per monitorarne il movimento. Le app di supporto rappresentano un elemento differenziante non trascurabile, perché in grado di tradurre i dati raccolti in informazioni utili per l’utente, attraverso una pluralità di “viste” – e di favorirne condivisione, analisi e riutilizzo.
L’app a supporto di Jawbone Up – per esempio – permette di tracciare l’assunzione di calorie, leggendo codici a barre dei cibi e rilevando i movimenti assimilabili al nutrimento, ma non è in grado di distinguere l’azione di salire gli scalini; l’app di Nike possiede una forte componente social, mentre quella di FitBit è particolarmente sofisticata nell’analizzare eventuali problemi legati al sonno. E peraltro, il Quantified Self non dipende necessariamente da dispositivi ad-hoc: Water Your Body, per esempio, è un semplice diario dell’acqua ingerita (corredato da grafici e notifiche), mentre SleepBot utilizza unicamente i sensori a bordo degli smartphone per rilevare accadimenti notturni e qualità del sonno. Servizi come 23andMe e UBiome, poi, portano il concetto di Quantified Self ben oltre la rilevazione dei segnali esteriori provenienti dai nostri corpi, adottando un approccio che giunge alle porte del cosiddetto bio-hacking. 23AndMe offre, a partire dal 2008, servizi di mappatura del genoma a basso costo, ed ha introdotto un kit facilitato per la raccolta del materiale genetico personale – “invenzione dell’anno”, secondo Time – mentre Ubiome è la prima società al mondo ad offrire servizi di mappatura del microbioma umano.