Recentemente Big data e IA (intelligenza artificiale) hanno guadagnato un crescente interesse in quanti ne riconoscono l’enorme potenziale di innovazione. Ma tali tecnologie procurano anche preoccupazioni per i possibili effetti negativi sulla protezione dei dati personali dei singoli, e sulla concorrenza di mercato. Infatti, Big data e IA possono sì essere utilizzate per migliorare la comprensione da parte delle aziende dei propri clienti orientandoli nelle scelte, ma possono anche essere usate per influenzare e condizionare. D’altra parte, la concentrazione delle moli di dati necessarie ad alimentare Big Data e IA nei silos di una ristretta cerchia di big tech, può costituire un’invalicabile soglia d’accesso per altri o nuovi operatori economici. Il sentiment di preoccupazione ha trovato riscontro anche al World Economic Forum di Davos da poco conclusosi, dove il noto investitore ungherese George Soros ha sostenuto che le big tech sono una concreta minaccia per la società e, persino, per la democrazia. Mentre già più volte il Commissario europeo per la concorrenza, Margrethe Vestager, ha auspicato una maggiore tassazione e regolamentazione di quelle società che, per la loro dimensione e penetrazione di mercato, hanno di fatto determinato un oligopolio tecnologico.
Un aiuto all’evoluzione della società dell’informazione in una direzione più garantista per i singoli, ma anche un’opportunità per un mercato più equo e più aperto, può arrivare da un nuovo modello di organizzazione dei servizi Internet: Blockchain.
Blockchain è un emergente modello che propone una filosofia nella creazione dei servizi Internet non più fondata sull’accentramento dei dati nei grossi silos di poche cloud. Rifiutando il paradigma cliente-servente proprio delle cloud che porta in sé un potenziale squilibrio di potere, Blockchain abbraccia invece il paradigma peer-to-peer: i servizi, cioè, sono erogati da una rete di nodi paritetici distribuiti nel cyberspazio Internet. Le implementazioni del modello peer-to-peer Blockchain attualmente più promettenti e più attivamente sviluppate, come ad esempio il network Ethereum o i progetti Hyperledger (quest’ultimi realizzati con il contributo di colossi quali Ibm e Intel) sono dei framework, cioè una serie di strumenti che consentiranno agli sviluppatori e all’industria la creazione di applicazioni decentralizzate, denominate “Dapp”. In un network blockchain i nodi sono paritetici e si coordinano e collaborano tra loro per registrare in un “libro mastro condiviso” un vero e proprio elenco di entrate e di uscite, denominate “transazioni”. Ciascuna transazione può essere immaginata come lo spostamento di un dato da un fruitóre all’altro del network blockchain. Uno spostamento che può avvenire solo se è stato preventivamente autorizzato dal proprietario del dato mediante il consenso al trasferimento che esprime apponendo la propria firma digitale.
In realtà, in un network blockchain le transazioni non sono singolarmente e immediatamente trascritte nel libro mastro replicato e condiviso. Piuttosto, il nodo a cui viene affidata una transazione effettua preventivamente una serie di controlli volti a verificare la liceità e la correttezza dell’uso del dato oggetto di trasferimento. Le singole transazioni così validate, sono poi raggruppate in blocchi sottoposti all’elaborazione di un sofisticato algoritmo, detto algoritmo di consensus, che assicura il funzionamento coordinato del network nella sua interezza e il salvataggio dei blocchi di transazioni nel libro mastro salvaguardando l’ordine corretto delle transazioni stesse. Ciascun blocco una volta validato dal network di nodi, viene poi saldato al resto della catena. Il libro mastro (distributed ledger) è quindi la catena di blocchi di transazioni (blockchain, appunto) sulla cui liceità i nodi del network hanno già convenuto. L’archivio delle transazioni replicato su tutti i nodi, il distributed Ledger, è concettualmente uno speciale database caratterizzato da cinque importanti proprietà: la trasparenza, la storicità, l’immutabilità, la replicazione e la resilienza. Tutte le transazioni, infatti, sono pubbliche nel senso che ogni utente partecipante al network può visionare la blockchain accedendo ad uno qualunque dei nodi e verificare la correttezza e la liceità di ogni transazione, anche di quelle più vecchie, risalendo la catena sino a raggiungere il primo blocco che ha dato avvio alla catena, il blocco numero zero, anche detto blocco di genesi (genesis block). Si noti che l’elemento trasferibile dalla transazione non deve essere necessariamente il “dato”, cioè l’oggetto di valore, ma può essere un suo riferimento, un link inintelligibile oppure un token, cioè un “gettone” specificamente utilizzato per il funzionamento del network. La catena è resa immutabile da un uso estensivo della crittografia a chiave pubblica impiegata tra l’altro per cristallizzare le transazioni nei blocchi e per saldare ciascun blocco al precedente in maniera talmente solida che un attaccante dovrebbe superare la forza computazionale della maggioranza assoluta dei nodi del network blockchain per rompere la catena e sostituire un blocco originale con una copia contraffatta.
Infine, la catena è replicabile su tutti i nodi, in maniera tale da fornire al network, nel suo insieme, proprietà di resistenza agli attacchi di tipo Dos (Denial of service) e, quindi, di continuità del servizio.
Come noto, il primo e tutt’ora principale ambito in cui è stato utilmente applicato il modello Blockchain è quello dei sistemi decentralizzati di moneta elettronica, le “criptovalute”. La prima in assoluto è stata il Bitcoin, al cui anonimo inventore (Satoshi Nakamoto, il suo pseudonimo) è possibile far risalire l’ideazione della famosa moneta virtuale. Una moneta definita decentralizzata proprio perché grazie al paradigma peer-to-peer adottato per il libro mastro su cui sono registrati i trasferimenti monetari, non necessita di un database da affidare in gestione ad un unico soggetto referente. Solo più recentemente sono nate comunità di entusiasti e sviluppatori che hanno dato il via a progetti basati sul modello Blockchain volti ad applicarne le proprietà nei più disparati contesti. Progetti che grazie al crowdfounding sono stati in grado di attirare milioni di dollari di investimenti dalle venture capital più famose al mondo. Investitori che, sebbene propensi al rischio, non sono certamente degli sprovveduti nel decidere su chi e su cosa puntare i propri soldi.
Il 2018, dieci anni dopo la pubblicazione del paper di Nakamoto, è con ogni probabilità un anno molto importante per il mondo dell’informatica e per chi si occupa della gestione e della protezione dei dati. Nel corso del 2018, infatti, scopriremo se e quali progetti pionieristici riusciranno a dimostrare che il modello Blockchain può essere utilmente e vantaggiosamente impiegato in contesti che vanno oltre quello delle cryptovalute. A quel punto, potremo parlare di Blockchain quale distruptive technology, dirompente perché potrà consentire la costruzione di una nuova generazione di applicazioni interconnesse in grado di portare ai singoli e all’industria i benefici dell’era cloud, ma recuperando un po’ del controllo sui dati ceduti, talvolta con troppa disinvoltura, alle cloud delle big tech.