Il nuovo pacchetto normativo Ue sulla privacy protegge sì meglio i consumatori, ma avrà un costo in termini di libertà di espressione e offrirà a chi usa Internet per informarsi un resoconto della storia con un forte “editing” e diverse lacune.
La nuova accusa alle regole approvate dall’Europa in fatto di data protection arriva dal New York Times, che sottolinea come la normativa, che entrerà in vigore nel 2018, esigerà dalle aziende di ottenere l’esplicito consenso all’uso dei dati da parte delle persone. A noi europei questo sembra un sacrosanto e anche ovvio diritto, ma la testata americana spiega che i consumatori avranno il diritto di “esaminare e correggere” le informazioni. I regolatori avranno anche la possibilità di imporre severe sanzioni alle aziende che non rispettano le regole – questo è un leit motiv nelle critiche che arrivano dagli Usa: il 4% delle revenues globali come multa massima sembra una quota spropositata. In più le aziende dovranno informare i regolatori entro 72 ore se hanni subito intrusioni e i dati personali che conservano sono stati rubati.
Il NYTimes riconosce che molti provvedimenti nel nuovo pacchetto Ue sulla privacy sono “ragionevoli”, ma alcuni appaiono “inquietanti”. La misura considerata più problematica è quella che espande il cosiddetto diritto all’oblio: è giusto permettere alle persone di cancellare informazioni vecchie, errate o non rilevanti, ma questo diritto, scrive la testata americana, è stato usato per rendere più difficile il reperimento di informazioni legittime, come vecchi articoli di giornale.
Più di 350.000 cittadini europei hanno chiesto a Google di rimuovere link a 1,3 milioni di pagine web dei suoi risultati di ricerca dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea del maggio 2014 (Google ha riferito di aver proceduto finora alla rimozione del 42% dei link di cui è stata richiesta l’eliminazione). Col nuovo pacchetto Ue sulla privacy, le aziende come Google dovranno togliere immediatamente le informazioni di cui si richiede la rimozione e poi decidere se tale rimozione possa essere permanente o se le informazioni vadano ripristinate. Quel che appare grave al NYTimes è che i gruppi dei media e altri siti Internet non potranno obiettare contro le rimozioni temporanee e forse nemmeno contro quelle permanenti.
Inoltre resta il grande nodo legato al diritto all’oblio: nemmeno con la nuova legislazione europea è chiaro se le Internet companies dovranno cancellare i link solo in Europa o in tutto il mondo. Come noto, Google si è già trovata di fronte a questo dilemma e sostiene da sempre che la sentenza europea si applica solo in Europa, a dispetto di quanto sostenuto dai difensori della privacy in Ue e di quanto decretato dal Garante francese che a inizio anno ha ingiunto al motore di ricerca americano di cancellare i link di cui i cittadini francesi chiedevano la rimozione anche nel resto del mondo.
I legislatori europei ovviamente dicono di non voler affatto limitare la libertà di espressione e fanno presente di aver introdotto eccezioni che evitano che personaggi politici e altre figure pubbliche chiedano l’eliminazione dal web di notizie fondamentali che li riguardano. Inoltre i link sono rimossi solo dai risultati delle ricerche fatte in base al nome della persona e si possono trovare cercando con altri nomi o parole rilevanti. Ma secondo il NYTimes, questo introduce comunque una difficoltà nelle ricerche su Internet, soprattutto per chi non conosce quelle altre “parole rilevanti”, e rappresenta una limitazione dell’accesso alla conoscenza.
Impossibile da applicare appare invece alla testata americana la regola che esige dai social network il consenso dei genitori per l’iscrizione al sito di chi ha meno di 16 anni: la regola attuale, che chiede il consenso dei genitori al trattamento dei dati solo per i ragazzi sotto i 13 anni, appare più pratica, perché dopo quell’età l’uso dei social media è altissimo. Per fortuna, i Paesi membro possono riportare autonomamente la soglia a 13 anni. “I legislatori europei sono chiaramente spinti dal desiderio di proteggere la privacy dei loro cittadini”, conclude il NYTimes. “Ma dovrebbero stare attenti, mentre inseguono questo sacrosanto diritto, a non lederne altri, come la libertà di espressione”.