IL PACCHETTO

Tegola Ue sulle web company: “Aprire i dati ai competitor”

Secondo il Financial Times il Digital Services Act, al vaglio della Commissione, prevede una stretta regolatoria sull’uso delle info e severe misure per arginare il potere dei “gatekeeper” del web. All’orizzonte anche una “blacklist” di pratiche di business vietate

Pubblicato il 30 Set 2020

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Nel nuovo Digital Services act la Commissione europea costringerà Google, Facebook, Amazon, Apple e tutte le Big Tech a condividere i dati dei loro utenti con le aziende rivali più piccole. Lo riporta il Financial Times, sulla base di una bozza preliminare del nuovo pacchetto normativo che aggiorna le regole dell’Ue sulle pratiche commerciali, le responsabilità legali e la sicurezza delle piattaforme, dei prodotti e dei servizi digitali.

“Aziende come Amazon e Google non potranno usare i dati raccolti sulle loro piattaforme….per le proprie attività commerciali….a meno che non rendano questi dati accessibili agli utenti business attivi nelle stesse attività commerciali“, riporta il quotidiano finanziario citando la bozza.

La versione finale del Digital Services Act sarà presentata a fine anno dalla commissaria antitrust dell’Ue, Margrethe Vestager. Già lo scorso febbraio la Vestager aveva chiarito qual era la posizione della Commissione (di cui è vice-presidente esecutivo): le aziende dominanti devono aprire i loro dati ai concorrenti più piccoli.

Stop ai “trattamenti preferenziali”

Secondo le indiscrezioni trapelate i colossi tecnologici potrebbero essere oggetto di una severa stretta regolatoria che impedirà loro di dare qualunque tipo di trattamento preferenziale ai loro servizi sui propri siti o piattaforme a danno dei concorrenti. Potrebbe essere il caso dei prodotti a marchio Amazon venduti sul marketplace americano e che fanno concorrenza ai prodotti analoghi messi in vendita sempre su Amazon dai merchant. O potrebbe trattarsi della priorità nei risultati di ricerca su Google.

Inoltre, l’Ue sarebbe pronta a vietare sia la pre-installazione delle applicazioni delle Big Tech su smartphone e laptop o accordi commerciali con i produttori di hardware che li costringono a pre-installare tali software.

Una blacklist delle pratiche di business “censurate”

La Commissione europea sta preparando il Digital Services Act focalizzandosi su un tema fondamentale: la definizione di gatekeeper, ovvero quali fattori rendono un’azienda un “passaggio obbligato” per l’accesso a determinati servizi. Per esempio potrebbe trattarsi di aziende con una vasta base di utenti, che possiedono enormi quantità di dati o una significativa quota di mercato in termini di fatturato oppure di aziende che rendono difficile per i loro utenti passare a un servizio concorrente o per i rivali entrare e affermarsi sul loro mercato.

All’inizio di questo mese, Thierry Breton, commissario europeo al Mercato interno, ha dichiarato al Financial Times che l’Ue stava preparando una “blacklist” di comportamenti che i cosiddetti gatekeeper del web saranno costretti a eliminare dalle loro pratiche di business.

Ora la bozza vista dal FT afferma che i gatekeeper dovrebbero avere il permesso di usare i dati che raccolgono solo per finalità circoscritte: “I gatekeeper non dovranno usare i dati ricevuti dagli utenti business per i servizi di advertising se non per i servizi di advertising”.

Regole ex ante per gli Over the top?

A inizio mese il Berec ha raccomandato alla Commissione europea di adottare un quadro regolatorio ex-ante dedicato per le “piattaforme digitali con notevole potere di intermediazione”, ovvero i big tra gli Over-the-top (Ott). L’organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche ha risposto così alla consultazione pubblica indetta dall’esecutivo Ue sul Digital services act, il nuovo pacchetto di misure che punta a normare il mercato dei servizi digitali, e sul New competition tool, strumento normativo che cerca di tutelare la competitività dei mercati europei nell’era della digitalizzazione.

La lobby delle Big Tech, ovviamente, non sta a guardare. Sono intense le pressioni di Google&co presso i regolatori europei per evitare lunghe liste di divieti. Proprio Google ha sempre respinto la visione di Bruxelles sui gatekeeper: “In certi settori una piattaforma potrebbe avere potere di mercato, ma in altri potrebbe essere un nuovo entrante o un player marginale”, è la posizione del colosso americano. “L’ecosistema digitale è molto diversificato ed evolve rapidamente e sarebbe fuorviante definire un’azienda gatekeeper solo in base al posizionamento su un mercato”.

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