IL CASO

Obsolescenza programmata, Apple patteggia rimborsi per 500 milioni di dollari

L’azienda raggiunge un compromesso sulla class action che l’ha coinvolta negli Usa con l’accusa di aver “rallentato” i modelli più vecchi dei propri smartphone: rimborso fino a 25 dollari per i possessori di iPhone 6, 6 Plus, 6s, 6s Plus, 7, 7Plus ed SE

Pubblicato il 03 Mar 2020

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Apple ha patteggiato la class action avviata negli Stati Uniti e accettato di pagare fino a mezzo miliardo di dollari per chiudere le azioni legali in cui è accusata di aver rallentato i vecchi iPhone per indurre gli utenti a comprare nuovi modelli o cambiare batterie.

L’accordo per il patteggiamento è stato presentato alla fine della scorsa settimana e adesso deve essere approvato dal giudice competente, Edward Davila giudice distrettuale di San Jose, in California. Nell’accordo è previsto che Apple paghi 25 dollari per ciascuno dei telefoni verrà deciso che siano inclusi dalla class action. A seconda di quali modelli verranno inseriti nella lista, Apple potrebbe pagare da un minimo di 310 milioni di dollari sino a mezzo miliardo.

Nei documenti presentati alla corte distrettuale si legge che Apple ha negato qualsiasi comportamento illecito, ma ha deciso di risolvere il caso con un unico accordo nazionale per evitare i costi e gli oneri dei contenziosi. L’accordo, che riguarda solo i proprietari di iPhone statunitensi, comprende gli iPhone 6, 6 Plus, 6s, 6s Plus, 7, 7Plus ed SE limitatamente alla versione 10.2.1 e successive del sistema operativo iOS e, per gli iPhone 7 e 7Plus con sistema operativo iOS 11.2 e successivi ma prima del 21 dicembre del 2017.

Il contenzioso è nato perché alcuni consumatori americani avevano constatato che la performance dei loro telefoni era sensibilmente degradata dopo aver installato degli aggiornamenti al sistema operativo. Apple ha sostenuto che il calo delle performance provocato volontariamente con un rallentamento via software era dovuta al desiderio da parte di Apple di preservare l’integrità del funzionamento degli iPhone anche durante i picchi di uso, che le batterie usurate non erano in grado di supportare provocando spegnimenti improvvisi. Questa strategia non è mai stata comunicata ufficialmente al mercato prima della class action.

Invece, secondo i consumatori, gli aggiornamenti avevano indotto molte persone a ritenere che i telefoni non funzionassero più bene e fossero quindi arrivati alla fine del loro ciclo di vita e dovessero essere cambiati. Secondo la class action si sarebbe dunque trattato di una manovra per provocare una obsolescenza programmata dei prodotti e portare i consumatori ad aggiornarli con versioni più nuove degli smartphone di Apple.

L’accordo raggiunto tra Apple e gli avvocati della class action è stato definito da questi ultimi come “corretto, ragionevole e adeguato”. Il pagamento di 25 dollari per iPhone secondo gli avvocati è “ragionevole sotto ogni punto di vista” e aggiungono che, secondo i loro esperti, il massimo possibile che si sarebbe potuto ottenere sarebbe stato un risarcimento di 46 dollari per telefono.

Secondo quanto riporta la stampa americana, il pool di avvocati ha pianificato di ottenere circa 93 milioni di dollari di parcelle, equivalenti al 30% dei 310 milioni del risarcimento minimo, più 1,5 milioni di dollari di spese.

Negli Usa, quando era scoppiato il “battery-gate” Apple aveva attivato prontamente una politica di sostituzione delle batterie a prezzo ridotto: 29 anziché 79 dollari, e Tim Cook si era inoltre scusato pubblicamente con i consumatori, spiegando quali erano le intenzioni di Apple e ammettendo l’errore nella politica di comunicazione.

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