L'OSSERVATORIO

Oltre il bitcoin, inizia la rivoluzione blockchain. Ma l’Italia è in ritardo

L’Osservatorio Blockchain del Polimi segnala un boom di progetti (+73%): 331 quelli censiti a livello internazionale. Sei iniziative su dieci riguardano la finanza, ma la tecnologia si diffonde anche tra le PA. Nel nostro Paese però siamo ancora agli albori. Valeria Portale: “Difficile individuare con chiarezza le opportunità per il business”

Pubblicato il 17 Apr 2018

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Mentre la febbre da Bitcoin inizia a scendere e si accende il dibattito su opportunità e rischi delle criptovalute, partono le prime sperimentazioni per sfruttare la blockchain negli ambiti più diversi. Oggi tutti gli attori di business si stanno interessando alla tecnologia della “catena di blocchi” e sono 331 i progetti (partiti o solo annunciati) censiti a livello internazionale da gennaio 2016 a oggi, di cui 172 sono in fase di test o operativi.

Sono alcuni dei risultati della prima ricerca dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui nonostante il freno costituto dalla mancata individuazione di modelli di business chiari e dall’assenza di uno standard definito a livello globale, la blockchain è in piena espansione. Le sperimentazioni avviate o in fase di “Proof of concept” nel 2017 sono cresciute del 73% rispetto all’anno precedente, mentre gli annunci, che però spesso non portano a risultati concreti, sono stati addirittura il 273% in più.

La grande maggioranza dei progetti, pari al 59% di quelli censiti ad oggi, è stata sviluppata nel settore finanziario, ma dal 2017 si nota un progressivo ampliamento degli ambiti applicativi che interessano anche l’attività di governo (il 9%), della logistica (7,2%), delle utility (3,9%), dell’agrifood (3%), delle assicurazioni (2,7%), fino all’healthcare (2,4%), al trasporto aereo (2,4%), ai media (1,8%) e alle telecomunicazioni (1,2%). La blockchain oggi è principalmente utilizzata per processi nei sistemi di pagamento (94 progetti), per il tracciamento e supply chain (67), per la gestione dati e documenti (64) e per il mercato dei capitali (51).

Anche i governi e le banche centrali, dopo l’iniziale diffidenza legata alla capacità di disintermediazione delle criptovalute, hanno iniziato a studiare il fenomeno per rendere più efficienti monete e sistemi di pagamento: 29 banche centrali di tutto il mondo si sono già attivate sul tema blockchain e oggi si contano 9 progetti retail, 19 orientati ai pagamenti interbancari e 8 progetti di ricerca su possibili applicazioni blockchain.

“La rivoluzione digitale della blockchain è solo agli inizi – afferma Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger – Le potenzialità sono enormi, in gran parte ancora da esplorare e non solo in ambito finanziario. In Italia il tema è ancora poco conosciuto e si evidenziano al momento poche sperimentazioni, ma è cruciale mettere a fuoco le opportunità per il business per cogliere i benefici di una tecnologia che potrebbe essere in grado di portare al cosiddetto ‘Internet of Value, una nuova generazione di Internet in cui ci si possa scambiare valore allo stesso modo con cui ci si scambiano le informazioni”.

Dal 2009, con lo scambio del primo Bitcoin, il mondo della blockchain ha conosciuto una profonda evoluzione. Inizialmente associato al mercato illegale e snobbato da banche e media, il Bitcoin non è stato oggetto di un approccio comune dei regolatori, ma ha conosciuto una progressiva crescita di interesse. Qualche anno dopo, sono nate altre piattaforme basate sugli stessi principi: nel 2012 Ripple, piattaforma per i pagamenti interbancari; nel 2014 Ethereum, piattaforma per i contratti intelligenti; nel 2015 Corda per scambi nel settore finanziario; nel 2015 viene annunciato il progetto Hyperledger per lo sviluppo collaborativo del registro distribuito. Con l’inizio della moda blockchain, sono sorte molte sperimentazioni, cresce vertiginosamente la capitalizzazione di Bitcoin e delle altre criptovalute, ma sorgono anche le prime perplessità sui corretti ambiti applicativi di queste tecnologie.

Oggi la blockchain potrebbe essere il fattore chiave per abilitare la nuova generazione di Internet, ovvero l’Internet of Value: una rete digitale di nodi che si trasferiscono valore, in assenza di fiducia, attraverso un sistema di algoritmi e regole crittografiche che permette di raggiungere il consenso sulle modifiche di un registro distribuito che tiene traccia dei trasferimenti di valore tramite asset digitali univoci.

Sono 894 le criptovalute attive, per un valore complessivo di circa 327 miliardi di dollari (dato aggiornato al 16 aprile 2018). Il Bitcoin da solo rappresenta il 42% della totale capitalizzazione del mercato, ma dopo di questo la top ten delle principali criptovalute per market cap vede Ethereum, con il 16% della capitalizzazione, e Ripple con il 8%, seguite da BitcoinCash, LiteCoin, Cardano, Stellar, Iota Neo, Monero.

“Le criptovalute presentano alcuni punti di forza rispetto alle monete tradizionali, ma anche alcune criticità – rileva  Portale – I principali elementi di evoluzione sono la decentralizzazione, poiché è il network stesso a stabilire la validità della transazione, la programmabilità, la completa tracciabilità, la sicurezza grazie alla crittografia, l’immutabilità grazie al registro strutturato in catena di blocchi. Tuttavia, le criptovalute mostrano alcuni punti di debolezza che non le rendono ancora in grado di sostituire le monete tradizionali, in primis l’elevata volatilità, poi la difficoltà di acquisizione per l’utente medio con l’exchange online, l’assenza di normativa omogenea delle varie giurisdizioni, la limitazione alla politica monetaria”.

Sono 29 le banche centrali al mondo hanno avviato sperimentazioni per applicare alcune caratteristiche delle criptovalute alle valute tradizionali, creando delle “criptovalute vigilate”. Un progetto di ricerca promosso da Reply e in collaborazione con l’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger e con partecipazione dell’Associazione Italiana Prestatori Servizi di Pagamento (APSP) ha provato a immaginare un “Cryptoeuro”, indagando se un sistema di criptovaluta vigilata potrebbe rendere più efficienti i processi di pagamento di alcuni settori (assicurazioni, utility, banche) con una valuta programmabile.

E In Italia? “Il mercato italiano, nonostante la presenza di una solida comunità di sviluppatori, non ha ancora saputo cogliere la sfida di innovazione connessa alla blockchain – evidenzia Portale – Da una parte c’è una difficoltà ad affrontare una tecnologia molto complessa, dall’altra una carenza culturale delle imprese che tendono a non investire in una tecnologia in una fase preliminare e ancora immatura. La blockchain potrebbe avere un impatto notevole per il made in Italy in termini di tracciabilità e di anticontraffazione: è necessario non rimanere fermi per evitare un gap di competenze difficile da colmare”.

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