CRESCI ITALIA

Operazione start up, è vera svolta?

Il governo Monti apre ai giovani. Ma per i neoimprenditori non sarà vita facile. Restano perplessità sui limiti d’età: a 35 anni bisogna lasciare l’azienda. E società con capitale da un euro avrebbero poche chance di ottenere finanziamenti

Pubblicato il 07 Feb 2012

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Più attenzione ai giovani. Secondo Mario Monti è questo il filo rosso che lega i provvedimenti che fanno parte del decreto sulle liberalizzazioni. In attesa di vedere come e se i provvedimenti passeranno lo scoglio parlamentare, Dario Di Vico sul Corriere della Sera esalta la norma sulle start up, ma il mondo dei neoimprenditori non sembra condividere l’entusiasmo. L’articolo 4 del decreto “Cresci Italia” introduce una nuova Srl, la società semplificata a responsabilità limitata che dovrebbe permettere il fiorire di nuove società grazie anche al capitale minimo di un euro e alla possibilità di fare a meno dell’atto pubblico e quindi del notaio. È sufficiente infatti una comunicazione unica telematica al registro delle imprese, esente da diritti di bollo e di segreteria.
La novità non ha provocato l’entusiasmo degli startupper che sulla pagina Facebook dedicata a questo mondo, Italian Startup Scene, si sono divisi fra chi ha espresso un “meglio che niente” e altri che hanno liquidato come inutile il provvedimento.
A creare le maggiori perplessità c’è il limite di età che costringerebbe il socio “attempato” a lasciare la società dopo il compimento del 35° anno. In più, società con una capitale sociale di 1 euro avrebbero ancora meno chance di raccogliere finanziamenti. Senza contare che qualcuno avanza l’ipotesi che una simile forma societaria possa essere utilizzata dalle organizzazioni criminali.


Secondo l’indagine realizzata da Mind the Bridge, l’associazione che porta le start up italiane nella Silicon Valley, il neoimprenditore della Penisola avrebbe un’età media di 32 anni che lo porta subito nelle vicinanze dell’età critica. Molti infatti sono laureati in possesso di un Master o di un dottorato di ricerca. Titoli importanti che comportano anni di studio in più e quindi età più avanzate.
Da non sottovalutare è il fatto che, come osserva Marco Marinucci, fondatore di Mind the bridge, “un founder su 5 è alla sua seconda startup”.
La serialità è una delle caratteristiche di questo tipo di imprenditori che perfezionano l’esperienza solo facendola. Ma in questo modo il tempo passa.
Anche Nicola Mattina, che si è occupato di Working Capital di Telecom Italia, il programma che offre finanziamenti alle nuove società innovative, è scettico. “Il limite di età è incredibile e l’uscita al compimento del 35° anno rende impraticabile qualsiasi forma di finanziamento”. E ancora “Aprire una nuova società costa seimila euro, siamo sicuri sia questo il problema?”.
Magari incidono di più il versamento dell’Iva e l’acconto sulle tasse. “I problemi sono questi, più che la forma societaria – dice Mattina -. Quella fatta dal governo sembra un’operazione contabile per poter dire a fine anno che sono state realizzate un certo numero di nuove società. Bisognerà poi vedere quante di queste sopravviveranno”. Perché, per esempio, se fra i soci fondatori ce n’è uno che compie 35 anni, ma ha particolari capacità, sarà un po’ duro sostituirlo. A meno poi di non cambiare forma societaria. Lo startupper classico, rincara, è ampiamente sopra i 30 anni e negli Usa le statistiche indicano che di anni ne ha 40 e anche un paio di figli.


Andrea Arrigo Panato, commercialista, la vede nello stesso modo. Chiede per esempio perché non è stata scelta una tassazione di vantaggio intelligente per i giovani “liberandoli da imposte, Iva e altro che spesso sono il vero problema delle start up”. Invece di aggiungere una nuova norma, secondo Panato, sarebbe stato il caso di modificare le regole per le Srl. “Non è ora di smettere di sovrapporre norme a norme e di provare a semplificare un po’ il nostro sistema? Tutto ciò mi pare davvero una follia”.


E se il notaio in questo caso viene considerata un’inutile garanzia allora sarebbe il caso di prevedere il suo intervento come facoltativo “iniziando a liberalizzare seriamente, no? – aggiunge Panato -. Pare una norma ibrida nata dai soliti compromessi tra le categorie”. Il capitale minimo di un euro invece non lo scalda più di tanto anche perché si può iniziare a fare impresa semplicemente aprendo una partita Iva. E conclude: “Ma siamo sicuri che le start up nella tanto citata California nascano perché mancano i notai? O forse è un problema di sistema, di università, di opportunità?”.

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