Oltre 13mila enti, di cui 4300 tra Comuni e Comunità montane. Sono i numeri degli enti che hanno aderito a PagoPA, il nodo pagamenti realizzato dall’Agenzia per l’Italia digitale per agevolare le transazioni elettroniche. L’adesione è certamente massiccia e rappresenta un passo fondamentale per spingere l’utilizzo dell’e-payment verso la PA, ma non è tutto oro quello che luccica. A frenare il programma soprattutto la mancata integrazione tra la PagoPA e i singoli back office.
Secondo i numeri dell’Osservatorio E-government del Politecnico di Milano se la presenza del gestionale nei tributi è del 97%, per altre funzioni non raggiunge il 30%. Le percentuali si abbassano ulteriormente quando si parla di integrazione tra i gestionali a supporto delle singole funzioni e quello della contabilità: la comunicazione automatizzata con il software dei tributi esiste nel 50% dei casi, mentre è stata implementata da meno del 15% dei rispondenti nel caso di edilizia, polizia locale, pubbliche affissioni, attività produttive e servizi socio assistenziali.
Nel front office, solamente il 20% delle amministrazioni offre almeno un canale digitale e, fatta eccezione per la funzione tributi in cui il pagamento avviene nell’84% dei casi tramite modello elettronico F24 dell’Agenzia delle Entrate, lo strumento maggiormente utilizzato rimane il bollettino postale, che per nessuna tipologia di pagamento registra meno del 50% delle transazioni. Solo il 2% degli enti confluisce in una piattaforma unica tutti i pagamenti effettuati dai propri cittadini, mentre è leggermente più alta la percentuale di coloro che mettono a disposizione un fascicolo dei pagamenti (7%) per permettere ai cittadini di consultare la propria posizione debitoria.
“L’errore – spiega Paolo Spagnoletti, docente di Sistemi Informativi aziendali alla Luiss – sta nell’aver affrontato il tema dei pagamenti digitali sganciato dal progetto di fatturazione elettronica mentre le due cose avrebbero dovuto marciare insieme affinché la prima potesse dare slancio a PagoPA che sconta il fatto di non dare benefici immediatamente tangibili sul fronte risparmi”.
In pratica né la PA né i cittadini riescono a comprendere rapidamente i vantaggi dell’e-payment.
“Per la PA questo dipende dal fatto che la transazione digitale, scollata da altri progetti abilitanti, non ha la forza di modificare alla radice il modo di lavorare e i processi interni, come avviene per la fattura elettronica – puntualizza Spagnoletti – I cittadini pagano invece l’estraneità del sistema PagoPA rispetto alla più diffuse modalità di pagamento digitale, a cominciare dall’Internet banking molto utilizzata anche verso la PA perché più user friendly dato che non c’è intermediario”.
C’è un modo per invertire la rotta? Per Spagnoletti ci sono due questioni da affrontare “la prima di natura architetturale: ovvero bisogna intervenire su come erogare certi servizi pubblici e quale ruolo può svolgere il mercato, nel caso questo abbia già sviluppato prestazione B2C che possono fare da volano a quelle della PA”.
La seconda è l’aggancio del back end. “Si tratta di ridefinire i processi di pagamenti non limitandosi alle singole transanzioni e investire nel capitale umano perché a una rivoluzione digitale deve necessariamente seguire una del modo di lavorare”.
Ma quali le criticità percepite dagli enti? Innanzitutto la necessità di riorganizzare internamente gli uffici (29%), poi la scarsa formazione al personale (17%) e, quindi, la necessità di investire in ambito tecnologico (17%). Una gestione unitaria dei sistemi di pagamento potrebbe facilitare l’attivazione di canali digitali, ma l’indagine evidenzia come questa sia, nella maggioranza dei casi, frammentata nelle diverse aree organizzative che gestiscono le singole entrate (polizia municipale, tributi, servizi scolastici): solo nel 29% degli casi esiste un’unica unità organizzativa (di solito il settore informatico o con delega all’innovazione) che sceglie come digitalizzare il canale di pagamento dell’Ente. Laddove però i pagamenti sono stati digitalizzati, numerosi sono i benefici riscontrati, su tutti la riduzione del tempo di gestione dei procedimenti (45%), seguito dalla riduzione dei tempi di riscossione, dei costi di gestione e del personale dedicato.