Un’infrastruttura moderna è certamente un fattore imprescindibile per la digitalizzazione del Paese. Qualunque progetto si voglia realizzare presuppone un’accessibilità di qualità, diffusa ed economica, direi “democratica”, che possa consentire a tutti i cittadini l’accesso ai servizi digitali a parità di condizioni. Ma, paradossalmente, non è una priorità e neanche l’ostacolo principale. Se sulle infrastrutture l’Italia è in forte ritardo, sui servizi che queste rendono disponibili il gap è ancora più impegnativo. Non parliamo di un gap tecnologico, facilmente colmabile con investimenti adeguati, ma di un ben più pesante gap culturale.
La digitalizzazione del paese è anche una questione “sociale”, che passa attraverso una profonda revisione dei processi della pubblica amministrazione e della professionalità dei suoi dipendenti. Ci aiuta a capire la portata epica di questo processo l’impatto che la digitalizzazione ha avuto, e sta avendo, nel settore bancario. Gli sportelli bancari che conoscevamo fino a meno di dieci anni fa oggi non esistono più; nello stesso modo, la miriade di sportelli della pubblica amministrazione centrale e locale sono destinati a divenire inutili. Tanto che alcuni sostengono che la digitalizzazione non deve efficientare la PA, ma renderla inutile! Il tema è ripensare i processi della PA in modo nativamente digitale, e ridefinire coerentemente le professioni, i ruoli e i mestieri dei dipendenti pubblici di una società digitale.