«Nelle università italiane c’è bisogno di ‘traduttori simultanei’: persone in grado di parlare, anche rozzamente, due lingue diverse, per esempio la fisica e la sociologia, perché altrimenti si rischia di non capirsi». A sostenerlo è Paolo Rossi, preside della Facoltà di scienze matematiche le fisiche all’Università degli Studi di Pisa, membro del Cun (Consiglio universitario nazionale), docente del corso di laurea in Ingegneria umanistica, fisico di formazione ma anche studioso di testi storiografici antichi.
Il mondo accademico capisce la necessità dell’incontro tra discipline scientifiche e umanistiche?
L’università italiana è un universo molto variegato, che tende ad arroccamenti e difesa di nicchie, ma c’è un buon numero di colleghi, soprattutto non troppo anziani né condizionati da urgenze di carriera, più disponibili ad aperture inter-disciplinari.
Può fare qualche esempio?
È vero che molti settori dell’ingegneria sono fortemente strutturati, però esistono importanti esperienze scaturite dall’interazione tra ingegneria e bio-medica. Penso al gruppo di lavoro intorno a Ugo Amaldi, docente di Fisica medica all’Università Milano- Bicocca, impegnato nell’uso di fasci di particelle generati da acceleratori di particelle applicati alla medicina. Penso a Pier Andrea Mandò, dell’Università di Firenze, noto per le applicazioni di fisica nucleare allo studio di documenti e manufatti di interesse storico-archeologico. Giovanni Ettore Gigante, docente dell’Università Sapienza di Roma, si occupa di archeometria, studio scientifico dei materiali di cui sono costituiti beni di inte storico, archeologico, artistico e architettonico. Al Cnr di Pisa sta partendo un gruppo sulla teoria delle reti per lo studio scientifico del funzionamento delle reti (Internet, così come le reti sociali in generale), dove si mettono in gioco competenze di matematica e fisica, anche se poi le applicazioni di questi studi sono al 90% di natura sociologica. A Palermo Rosario Mantegna insegna econofisica, applicazio- ne all’economia di tecniche e metodi sviluppati nel campo della fisica.
Stanno nascendo anche corsi di informatica applicata al diritto o di nuove tecnologie nell’ambito della comunicazione.
La vastità del patrimonio giuridico richiede strumenti di applicazione dell’informatica alla giurisprudenza: servono, tra le altre cose, capacità di creare e gestire database e l’accesso a motori di ricerca specifici. Per quanto riguarda la comunicazione, alla Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) di Trieste hanno organizzato un ottimo corso di comunicazione scientifica destinato a studenti con formazione di base umanistica.
Ma nelle facoltà umanistiche si moltiplicano i corsi di laurea che mescolano competenze comunicative con quelle sulle nuove tecnologie.
Il problema è che questi studenti hanno una formazione strettamente umanistica ma non scientifica, anche a causa dei limiti del nostro sistema scolastico, perciò spesso da quelle facoltà escono laureati con un bagaglio scientifico-tecnologico inadeguato.
Le esperienze inter-disciplinari le sembrano in crescita?
Per fortuna sì, ma resta la difficoltà del sistema accademico di riconoscere la qualità e premiarla. Anche non tenendo conto delle prevedibili resistenze dei baroni, i lavori che interessano una comunità limitata di studiosi fanno più fatica ad imporsi di quelli standard inseriti in un mainstream facilmente identificabile. Perciò i giovani che intendono studiare ambiti interdisciplinari, o hanno idee geniali a cui non vogliono rinunciare oppure fanno davvero molta fatica a imporsi.