“Dalla crisi si esce solo passando dall’informatizzazione”. Lo afferma Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, intervistato dal quotidiano La Repubblica.
“Fra le due opzioni penso che un intervento sull’Irap possa avere maggior impatto, ma puntare su quei dieci miliardi non basta. Bisogna trovare strade nuove”, afferma. Poi Parisi passa a illustrare le proprie proposte: “Partiremmo da una sperimentazione del Maxi-jobs lanciato da Luca Ricolfi. La formula prevede un cuneo fiscale bloccato al 20% per quattro anni sui contratti destinati ai nuovi assunti. Un modello che condividiamo, ma per controllarne meglio gli effetti sulla finanza pubblica proponiamo di sperimentarlo, per il momento, solo sui nuovi occupati con competenze digitali”.
“Fra le proposte che abbiamo inviato al premier – continua Parisi – c’è infatti anche la possibilità di utilizzare i fondi strutturali della Ue 2014-2020 per finanziare borse di studio di un anno destinate a giovani laureati. Li manderemo in 20mila piccole aziende per avviarle alla digitalizzazione, al commercio e ai pagamenti elettronici, alla nuova era insomma. Una sorta di digital angels di cui le imprese potranno avvalersi a costo zero. D’altra parte la scuola resta per noi un punto di partenza, dobbiamo approfittare delle opportunità. Ad esempio inserendo nei piani di ristrutturazione edilizia l’obbligo di predisporre infrastrutture digitali e rendendo obbligatorie, in tutte le scuole superiori, una formazione sulle competenze digitali. Ora solo il 20% delle aule scolastiche è connesso in rete”.
Ma al di là delle nuove generazioni, le proposte di Confindustria digitale illustrate da Stefano Parisi riguardano anche un ambito più generale: “Ci deve essere l’impegno a spingere l’informatizzazione del settore pubblico – spiega – per migliorarne l’efficienza e semplificare le procedure. Secondo le stime ipotizzate dal commissario Cottarelli l’innovazione digitale può produrre benefici per oltre 30 miliardi sui conti dello Stato. Permette di controllare meglio i dati sull’evasione e di ridurre le spese di acquisto di beni e servizi. Una sorta di spending review 2.0. Sarà possibile finanziarla – conclude Parisi – con capitali pubblici e privati, dove il privato possa partecipare agli investimenti necessari chiedendo una remunerazione, per un certo numero di anni, in base ai risparmi ottenuti”.