CONFINDUSTRIA DIGITALE

Parisi: “Aiutare le Pmi italiane a digitalizzarsi”

Il presidente di Confindustria Digitale dà la sua ricetta:”Bisogna superare la logica dei pacchetti e cercare soluzioni web che aiutino l’impresa a cambiare pelle, innovarsi e cercare nuovi mercati”

Pubblicato il 14 Feb 2014

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“E’ innegabile che esiste un problema di bassa digitalizzazione nelle Pmi italiane che così perdono la grande opportunità di aprirsi ai mercati internazionali, di innovare i prodotti e i processi e di incrementare la loro produttività. Almeno il 25% delle imprese italiane non è ancora informatizzato. In questo contesto Confindustria Digitale sta mettendo in campo tutti gli strumenti in suo possesso per cambiare marcia”. Stefano Parisi risponde punto su punto ai rilievi di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera che accusava l’associazione di fare poco per innovare le Pmi.

Come lavorate sul fronte della digitalizzazione delle piccole e medie imprese che sono l’architrave del nostro sistema produttivo?

Mi preme prima chiarire un punto. Confindustria Digitale rappresenta l’offerta di servizi digitali non la domanda. Detto questo anche l’industria italiana dell’Ict può mettere in campo azioni efficaci.

Ce le dica

L’offerta di soluzioni digitali per le Pmi richiede una nuova logica di presenza sul mercato. E’ necessario superare la logica dei “pacchetti” per passare alla ricerca di soluzioni web che aiutino l’impresa a cambiare pelle, innovarsi e cercare nuovi mercati. In questo senso posso essere di aiuto alle grandi imprese di informatica anche le soluzioni sviluppate da start up innovative. Inoltre si devono sfruttare al meglio le opportunità di filiera: alcuni settori del made in Italy – penso alla moda, alla ceramica, all’arredo, ad esempio,- potrebbero realizzare dei marketplace dove “sperimentare” le miglior pratiche dell’innovazione. Questo sul versante dell’offerta. Su quello della domanda c’è un grande lavoro da fare nella diffusione della cultura digitale.

Come vi state muovendo?

Abbiamo scelto due approcci. Il primo, più tradizionale, fa leva sull’utilizzo delle risorse di Fondimpresa e Fondirigenti. Negli ultimi anni, anche su nostra sollecitazione, sono stati erogati 6 milioni di euro per la formazione che ha coinvolto 3800 addetti, di cui più del 50% dirigenti, per 360 imprese.

Il secondo?

L’altro approccio riguarda l’Agenda digitale ovvero della messa online della pubblica amministrazione italiana per stimolare la domanda di innovazione nella Pmi. Tra pochi mesi, ad esempio, scatterà l’obbligo di fatturazione elettronica per le imprese. Come Confindustria Digitale abbiamo fatto due proposte per incentivare l’uso della fatturazione digitale: permettere a chi adotta questo strumento la compensazione sulle partite fiscali; ridurre ad un anno il tempo di esame da parte dell’Agenzia delle Entrare sulla dichiarazione dei redditi, dando più certezza al contribuente. Sono due leve importante per spingere le Pmi a digitalizzarsi.

Severgnini scrive che “seminare” giovani digitali nelle imprese più tradizionali può essere un volano per l’innovazione. È d’accordo?

È certamente un processo da perseguire che mi pare stia prendendo piede. Ne è un esempio il progetto Go On della Regione Friuli Venezia Giulia o, parlando di Confindustria, quello avviato da Assolombarda. L’obiettivo è quello di creare una nuova forma di consulenza più creativa, più operativa e vicina alle esigenze delle imprese ma soprattutto molto diversa dal modello “classico” di consulenza. Ma per fare tutto ciò è necessario abolire la legge Fornero.

Perché?

Per eliminare il blocco delle assunzioni generato con quella legge e garantire alle aziende maggiore flessibilità nelle assunzioni, soprattutto dei giovani. Per mettere in moto il circolo virtuoso del digitale serve intervenire a monte stabilendo maggiore flessibilità in entrata.

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