Taglio del nastro a Roma per la prima sede dell’Europa continentale di American Express interamente progettata in nome dello smart working. Il Da Vinci Building, la nuova location iper-tecnologica da 12mila mq che ospita l’headquarter italiano e oltre 1.100 dipendenti, è stata organizzata con postazioni “mobili” ossia a disposizione di tutti i dipendenti, sale abilitate alla videoconference e alla telepresence, connettività ovunque, un Technology Concierge per l’assistenza e il supporto tecnologico, un servizio di formazione e assistenza nell’utilizzo dei device e un’area “shop” con le tecnologie disponibili. Ma soprattutto il progetto Blue Work – partito nel 2014 ed ora a regime – è stato improntato per consentire alla maggior parte dei dipendenti di lavorare a distanza fino a due giorni a settimana. Il tutto grazie all’allestimento di postazioni “casalinghe” che includono il meglio della tecnologia per operare come se si fosse in sede.
Un modello che scardina le logiche tradizionali basate sulle postazioni fisse e soprattutto sulla presenza in ufficio “certificata” dal badge e premia il raggiungimento degli obiettivi. “Questo progetto rafforza ulteriormente il legame con l’Italia e con Roma – sottolinea Melissa Peretti, Country Manager American Express Italia – e soprattutto dimostra la volontà dell’azienda di continuare a puntare sull’innovazione. L’Italia è stato il Paese scelto a livello continentale (ad aprire le danze è stata New York seguita da Londra e si appresta a partire la Svezia, ndr) per l’avvio di un progetto che può essere considerato rivoluzionario nel modo di intendere la vita professionale”. Ma per le rivoluzioni, ha spiegato la numero uno per l’Italia, servono investimenti e una “vision” Paese che vada in direzione dell’innovazione. Sul fronte investimenti ammonta a 16 miliardi di dollari l “iniezione” annuale di American Express nel nostro Paese. E per quel che riguarda le politiche governative la country manager ci tiene a sottolinea come “il piano ultrabroadband è per noi di grande importanza e la sua implementazione ci darà l’opportunità di avviare ulteriori progetti alla stregua di quello capitolino e anche di offrire lavoro in altre zone d’Italia. Dove arriverà la banda larga potremo allestire le postazioni domestiche e dotarle di tutto il necessario per il lavoro a distanza”.
La partita dello smart working in Italia peraltro è tutta da giocarsi: stando ai dati presentati da Fiorella Crespi, responsabile ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano “fare smart working non è solo questione di tecnologie ma di ripensamento di vincoli dati per scontati. Si tratta di una nuova filosofia manageriale che fa leva sulla flessibilità e sul raggiungimento di obiettivi precisi. “Intaccare” la cultura manageriale è di sicuro l’aspetto più difficile da affrontare”. Dati alla mano, Crespi ha evidenziato che nel 2014 solo l’8% delle aziende ha avviato un piano di smart working e che ad oggi a scendere in campo sono prevalentemente le grandi aziende (quelle con oltre 500 addetti e perlopiù dei settori alimentare, Ict, Tlc e manifatturiero) “mentre le Pmi restano scettiche”, evidenzia la ricercatrice. “Ma quest’anno i dati sono al rialzo e si sta assistendo a un maggiore fermento”.
Il decollo dello smart working nel nostro Paese necessiterà anche di nuove norme e di tipologie contrattuali adeguate: “Siamo all’inizio di una stagione nuova per il mondo del lavoro. Lo smart working, ma anche l’industria 4.0 e l’avvento dell’Internet of things sollevano una serie di problematiche”, ha evidenziato il presidente della Commissione Lavoro al Senato Maurizio Sacconi. “La riregolazione già compiuta purtroppo è già datata, bisogna andare oltre prevedendo strumenti normativi di supporto alla negoziazione nei rapporti aziendali e fra privati. Ed è importante trovare un equilibrio: sì alla connettività ovunque ma è importante favorire anche gli incontri fisici”, auspica Sacconi.