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Piano banda ultralarga, Bruxelles accelera sui tempi

Secondo quanto risulta a Cor.Com il documento, da oggi all’esame della Commissione Ue, dovrebbe ricevere presto il via libera da parte delle Dg Concorrenza, Connect e Politiche Regionali per recuperare il ritardo sulla tabella di marcia. Nessuna decisione “accomodante” sul merito ma si vuole evitare il blocco dei fondi

Pubblicato il 19 Nov 2014

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Il piano banda ultralarga approda a Bruxelles. Da stamane l’attesa strategia del governo Renzi per rimettere le infrastrutture digitali al passo con gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea è all’esame della Commissione Ue. Le ambizioni sono elevate. La roadmap illustrata dal documento punta entro il 2020 a coprire l’85% della popolazione con connettività ad almeno 100 mbps e il restante 15% a 30 mbps (al momento nel paese solo il 20% ha accesso ai 30 mbps, 40 punti percentuali sotto la media europea). Per tagliare il traguardo, verranno messi sul piatto 6 miliardi di euro in risorse pubbliche, con una quota consistente in provenienza dai fondi strutturali europei, a cui andranno a sommarsi quelli del settore privato (da 1 a 6 miliardi, a seconda degli scenari d’investimento).

Nei giorni scorsi, i dettagli del piano sono stati largamente anticipati dalla stampa. Ma un aspetto che non è stato sufficientemente messo in luce è che per partire con l’attuazione occorrerà in via preliminare il via libera di Bruxelles. Quello della Dg Concorrenza della Commissione, che ha il compito di passare al vaglio la coerenza del documento con le norme europee in materia di aiuti di stato. E quello della Dg Connect e della Dg Politiche Regionali, responsabili per la valutazione degli impegni di spesa relativi alle risorse europee e al co-finanziamento nazionale. Il pronunciamento della Commissione, a quanto risulta a Cor.com, non dovrebbe farsi attendere. Anche perché il piano è già in ritardo sulla tabella di marcia indicata dai servizi comunitari.

“La trasmissione del documento a Bruxelles costituisce una condizionalità ex-ante nell’ambito della programmazione dei fondi europei 2014-2020, cioè uno dei requisiti preliminari che ogni governo nazionale deve soddisfare per poter cominciare a spendere le risorse dell’Ue”, spiega a microfoni spenti un funzionario della Commissione. “Questo significa che, a rigore, il piano avrebbe dovuto essere presentato prima della chiusura dell’Accordo di Partenariato con l’Italia”, il documento nazionale che traccia le linee guida di spesa dei fondi strutturali e che invece è stato già approvato dalla Commissione europea e quindi adottato ufficialmente il 29 ottobre scorso. Di fronte al ritardo italiano, a cui si aggiunge comunque quello di altri paesi europei, Bruxelles ha deciso di chiudere un occhio. Almeno dal punto di vista procedurale. Ciò che non significa che sarà accomodante sul merito del piano. Sul quale potrebbe ancora esigere migliorie o modifiche, pena il blocco dei fondi. Una minaccia del resto già brandita nei mesi scorsi quando era balenata l’ipotesi che il governo destinasse ai progetti sulla banda ultralarga una dote parecchio inferiore rispetto alle aspettative della Commissione Ue.

Tornando ai dettagli del piano, l’azione del governo – e delle regioni che sono responsabili per la maggior parte della spesa dei fondi europei – sarà centrata su quattro modalità di intervento: intervento diretto pubblico, partnership pubblico privata, intervento a incentivo e il modello della domanda aggregata. Il primo verterà sul roll-out della rete passiva (posa di cavi, etc.), che resterà pubblica ma verrà data in affidamento agli operatori tramite bando di gara con concessioni di utilizzo di durata decennale. La partnership pubblico-privata (Ppp) prevede accordi di co-investimento tra soggetti pubblici e privati, mentre l’intervento a incentivo spinge sulla liberazione di risorse private con contributi pubblici agli operatori (uno dei tasselli sotto la lente d’ingrandimento della Dg Concorrenza).

La quarta forma d’intervento contempla per sua parte la costituzione di gruppi di acquisto che “aggregano la domanda di connettività a 100 Mbps” per aree industriali o geografiche. I promotori dell’iniziativa potranno richiedere interventi diretti, Ppp o interventi a incentivo. Da notare, inoltre, che il documento non si affiderà ad un modello FTTH puro (fibra sino all’abitazione dell’utente). “Le soluzioni FTTH – si legge nel piano – rappresentano la condizione ideale per un’infrastruttura di rete a banda ultralarga a prova di futuro”. Tuttavia, “l’impiego efficiente delle risorse economiche conduce ad un impiego diretto di questa soluzione solo nelle aree a maggior potenziale di business, privilegiando una logica in cui la fibra viene dispiegata inizialmente nella tratta di rete primaria (Fibra fino agli armadi), per poi essere estesa nella tratta secondaria fino alla prossimità degli edifici ed, eventualmente, fino all’interno delle unità immobiliari”.

Lo stanziamento complessivo di risorse pubbliche assomma a 6,189 miliardi, con circa 2,4 miliardi, incluso il co-finanziamento nazionale, messi sul piatto dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e Fondo Europeo Sviluppo Rurale, ossia i fondi strutturali Ue in larga parte destinati alle regioni meridionali. Altri 419 milioni affluiranno dal Piano Strategico Bul e 230 milioni dai programmi nazionali Fers (Pon Competitività). Il governo prevede anche di stanziare “fino a 5 miliardi di euro per le infrastrutture di telecomunicazioni a partire dal 2017” per il tramite del Fondo coesione e sviluppo. L’Italia ipotizza anche lo sblocco di altre risorse tramite il piano d’investimenti da 300 miliardi che il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker presenterà la prossima settimana, e anche attraverso “risparmi derivanti da una gestione efficiente del sistema pubblico di connettività”. Certo è che, a quanto risulta al cor.com, a Bruxelles stanno già passando allo scandaglio queste cifre in quanto specialmente l’entità dello stanziamento a valere sul Fondo coesione e sviluppo apparirebbe sovradimensionata.

Un altro aspetto significativo del piano è l’ipotesi di un allentamento della pressione regolatoria sugli operatori per dare ossigeno agli investimenti e assicurare una adeguata remunerazione dei capitali investiti. Ad esempio, in alcune aree dove operano almeno due operatori verticalmente integrati, compreso l’incumbent – scrive il governo – “una regolamentazione pro-concorrenziale incentivante potrebbe sperimentare forme di light regulation sui servizi Bitstream e LLU”.

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