L’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown ci hanno permesso di sperimentare nuovi modi di vivere la città: meno traffico, meno inquinamento, più ricorso al digitale per continuare le attività, lavorative e scolastiche, con la diffusione dello smart working e strumenti di didattica a distanza. In questo contesto i riflettori sono tornati ad accendersi sulle smart city come piattaforme abilitanti in grado di garantire una maggiore efficienza dei servizi e, dunque, maggiore benessere per cittadini e imprese.
Di come “ripensare” le città nel post-Covid ne parliamo con Giovanni Battista Pignatelli, Presidente Alosys, azienda con un “dna telco” ma che, nel tempo, ha diversificato il suo business avvicinandosi a settori strategici quali big data, industry 4.0 e, appunto, smart city.
Pignatelli, il momento che stiamo vivendo impone un importante ripensamento delle città in ottica smart. Lei che idea si è fatto?
È vero che il lockdown ci ha portato tutti a riflettere sul ruolo che le tecnologie possono svolgere nel migliorare le nostre vite. Basti pensare al boom dello smart working o della didattica a distanza. Si tratta di novità che possono portare con sé molte opportunità, ma al contempo causare rischi da non sottovalutare.
In che senso?
Fare analisi su un argomento così complesso e sfaccettato come quello delle città “intelligenti”, dove intervengono fattori non solo tecnologici ma anche politici ed economici, non è facile. Quello che vedo, dal punto di vista di un’azienda come Alosys, è che finora ci siamo concentrati su alcune sigle tecnologiche – big data, IoT, 5G tanto per citarne alcune – ma ancora troppo poco sui contenuti ovvero su come queste piattaforme possano davvero cambiare la vita dei cittadini e sostenere lo sviluppo economico dei territori, anche in ottica di sostenibilità. La pandemia ha in qualche modo mostrato la corda di questa vision e riportato in primo piano quelli che sono i bisogni, direi primordiali, delle persone.
E questo come impatta sul ruolo che tecnologie possono svolgere nella cosiddetta Fase 3?
In questi mesi abbiamo scoperto quanta importanza ha una infrastruttura già pronta all’uso, quando quest’uso diventa vitale: penso all’infrastruttura sanitaria, in primis, e subito dopo alla rete di comunicazione che ha permesso di continuare a lavorare o di proseguire le lezioni scolastiche. Oggi ci stiamo rendendo conto di quanto sia importante tracciare il comportamento delle persone, attraverso app, videocamere, sistemi di sorveglianza e di correlazione di dati per evitare ulteriori epidemie e diffondere comportamenti virtuosi. Questo per dire che le piattaforme tecnologiche e le infrastrutture sono una base di partenza essenziale per abilitare processi di innovazione e di cambiamento culturale, ma che per metterle realmente a valore serve una visione strategica.
A suo avviso questa visione manca nelle smart city?
Certamente l’Italia rispetto ad altri Paesi, anche europei, soffre di importanti ritardi che non sono – attenzione – squisitamente tecnologici ma di approccio. Il nostro Paese, ad esempio, vanta una infrastruttura di impianti di illuminazione pervasiva ed efficiente: si tratta di un network già disponibile in grado di supportare nuovi servizi, testando in prospettiva i benefici di un nuovo stile di vita con meno traffico, meno inquinamento più benessere ecosostenibile attraverso i meccanismi di una economia circolare, che finalmente si sostituisce all’ economia degli sprechi. Ecco, finora le potenzialità del sistema di illuminazione non sono state sfruttate fino in fondo.
Si è fatto un’idea del perché?
Non c’è una sola causa. Con tutta probabilità si tratta, come detto prima, di mancanza di visione, di una certa “pigrizia” che ci porta a considerare solo le tlc reti abilitanti l’innovazione urbana. In questo senso serve cambiare il punto di osservazione, concentrandosi nell’attrezzare il prima possibile la nostra infrastruttura, gia’ pronta e disponibile per accogliere la scommessa di risalire le classifiche europee ed essere finalmente il Paese dove tutti percepiscono il valore delle informazioni e dei dati. Può essere fatto, da subito, anche in cooperazione con altri player. Ogni Comune – in Italia sono questi enti i proprietari del sistema di illuminazione pubblica – può già da oggi cominciare un percorso virtuoso di innovazione mettendo a profitto la propria infrastruttura di lampioni , che da asset di costo si trasformano in valore economico diventando punti di connettività.
È quello che consente di fare il vostro prodotto Alosys Switch?
Esattamente. Si tratta di un dispositivo che permette l’alimentazione degli apparati collegati alla rete di pubblica illuminazione senza eseguire cablaggi strutturali o lavori sul manto stradale. Una volta installato, il lampione è immediatamente abilitato ad ospitare dispositivi che erogano servizi innovativi. Il vantaggio per i Comuni è sicuramente economico, perché non necessità di ingenti investimenti, e inoltre consente anche agli enti più piccoli di intervenire velocemente sul digital divide nel momento in cui il palo diventa punto di connettività. Con un impatto importante anche sullo sviluppo di nuove competenze che, come indicato dall’ultimo Desi, in Italia mancano.
In che senso?
I lampioni cosiddetti intelligenti necessitano di figure professionali ibride e altamente skillate. Non semplici elettricisti ma anche esperti di Tlc che costringono il sistema della formazione e dell’industria a ragionare in modo trasversale. Quello che serve all’Italia – se vogliamo risalire il ranking europeo – è una collaborazione virtuosa tra le imprese, la scuola, gli istituti tecnici superiori e le università in grado di identificare quali tipi di competenze servono per rilanciare il Paese, programmando investimenti e formando capitale umano da impiegare nei settori che consideriamo strategici. E la smart city può essere un interessante banco di prova