IL REPORT

Pirateria audiovideo, all’Italia costa 1,2 miliardi

L’indagine Fapav-Ipsos: consumo illegale di video per due italiani su cinque, nel 2016 mancati incassi per 700 milioni di euro. A rischio 6.500 posti di lavoro. Federico Bagnoli Rossi: “L’impianto normativo italiano è valido, va solo applicato e implementato con forza”

Pubblicato il 05 Giu 2017

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La pirateria digitale nel settore dell’audiovideo coinvolge oggi il 33% della popolazione italiana, ed è in crescita: dal 2010 si è assistito ad un aumento del 78% di questo fenomeno, mentre sono diminuiti dell’81% e del 50%, gli atti di pirateria fisica e indiretta. E’ quanto emerge dalla nuova indagine sulla pirateria audiovisiva in Italia, che Fapav, la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali, ha commissionato a Ipsos, e che è stata presentata oggi alla Casa del Cinema di Roma. La ricerca, la cui ultima edizione risale al 2011, ha preso in considerazione anche una nuova fascia d’età, quella dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni.

Il cinema e l’intera industria dell’intrattenimento audiovideo, compresi gli spettacoli televisivi, le serie Tv e lo sport in diretta – è il messaggio che emerge dalla giornata di lavori che ha coinvolto i principali addetti ai lavori del settore – non sono soltanto tappeti rossi e “star”, ma anche migliaia di persone che lavorano dietro le quinte per realizzare prodotti sempre più all’avanguardia e sempre più interessanti per il pubblico. Concedere spazio alla pirateria vuol dire, oltre che commettere un reato, mettere in ginocchio l’intero settore dell’industria creativa, con danni tangibili in termini di mancato fatturato e posti di lavoro persi.

Più nello specifico, dalla ricerca emerge che la pirateria incide complessivamente sul mercato di film, programmi e serie Tv per il 39%: due italiani su cinque cioè hanno usufruito di un prodotto pirata nel corso dello scorso anno. Il consumo illegale ha riguardato per il 33% film, con un -4% rispetto al 2010, per il 22% serie Tv (+9%) e per il 19% programmi televisivi, tra i quali le dirette sportive (+8%). Parliamo complessivamente di quasi 679 milioni di titoli o eventi piratati nell’arco del 2016, che nel 56% dei casi riguardano film, compresi quelli non ancora usciti nelle sale italiane o quelli in programmazione al cinema.

Significa che il valore delle fruizioni “legali” perse a causa della pirateria nel 2016 è stato di 128 milioni, per un fatturato perso direttamente di 686 milioni di euro, e per un danno al Pil, secondo la rilevazione di Ipsos, di 427 milioni di euro. Se si prende in considerazione il fatturato perso in tutti i settori economici a causa dell’offerta illegale, si arriva a 1,2 miliardi di euro, con 6.540 posti di lavoro a rischio. Quanto ai mancati introiti fiscali, tra Iva, imposte sul reddito e sulle imprese la cifra complessiva è di circa 198 milioni di euro.
Capitolo a parte quello sulla consapevolezza del reato: l’82% dei pirati sa che infrange la legge, ma il 57% ritiene che sia improbabile essere scoperto o sanzionato. Il 31% dei pirati che ha sperimentato l’oscuramento di un sito pirata, infine, si è rivolto almeno una volta ad alternative legali.

“I dati afferma Federico Bagnoli Rossi, segretario generale Fapav – evidenziano come a fronte della naturale evoluzione del mercato audiovisivo, con una sempre più ampia e diversificata offerta legale di contenuti, frutto di un investimento rilevante dell’industria verso le nuove tecnologie, si sia evoluta anche la pirateria e il livello culturale e di competenza tecnologica di chi compie atti illeciti. L’indagine ci dice che non possiamo abbassare la guardia, che dobbiamo lavorare sempre di più e con maggiore determinazione sul fronte della comunicazione e della sensibilizzazione, soprattutto nei confronti dei nativi digitali. Occorre puntare principalmente su due livelli: da un lato la consapevolezza sulla percezione del reato e dall’altro, in una prospettiva di crescita del mercato, una maggiore responsabilizzazione degli intermediari del web. L’impianto normativo oggi esistente in Italia è ancora valido, va solo applicato e implementato con forza da tutti quanti: autorità, forze dell’ordine, magistratura e operatori”.

Per tornare alle abitudini dei “pirati digitali”, per scaricare le serie TV, il ricorso a siti BitTorrent è diffuso tanto quanto il download da Cyberlocker (57%) mentre i software P2P (peer-to-peer) sono fonte per serie TV solo per il 28% dei pirati. Per i film appare maggiormente diffuso il download da internet (Cyberlocker 59%), senza ricorso a BitTorrent o P2P (54% e 24%, rispettivamente). Per lo streaming, sia di film sia di serie TV, i siti web collegati ai Cyberlocker sono la fonte principe (93%): la ricerca dei siti avviene per lo più attraverso i motori di ricerca online (56%) o grazie al passaparola di amici/conoscenti (42%). Lo streaming attraverso IPTV, seppur fenomeno marginale, appare più diffuso tra i pirati di serie TV (16% vs. 12% tra i pirati di film).

Se poi tra gli adulti la percentuale di chi ricorre alla pirateria è del 39%, questa sale fino al 50% tra gli adolescenti: un ragazzo su due tra i 10 e i 14 anni dichiara di aver visto illegalmente negli ultimi 12 mesi almeno un film, una serie o un programma televisivo distribuito illegalmente.

Infine l’identikit del “pirata”: è nella maggior parte dei casi uomo (55%), lavoratore (54%), in posizioni direttive o autonome più frequentemente della media della popolazione italiana, con un titolo di studio mediamente più elevato (62% diplomati). I pirati sono inoltre più giovani della media italiana, specie quelli digitali, e appaiono più “connessi e tecnologici”.

“Si tratta di un fenomeno dall’impatto estremamente negativo – ricorda in un videomessaggio il presidente del Senato Pietro Grasso – con ricadute terribili per il fatturato di tante imprese e per i posti di lavoro. Ma la repressione da sola non risolve: servono formazione e prevenzione, soprattutto verso i giovani”.

Dello stesso avviso Mario Catania, presidente della commissione d’inchiesta sulla Contraffazione e pirateria commerciale della Camera dei deputati: “La reazione penale non è una risposta sufficiente – sottolinea – e al momento non è vigorosa perché l’opinione pubblica non percepisce il fenomeno come grave: di riflesso la politica non traduce la repressione in comportamenti forti. Dobbiamo lavorare sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, e su su sanzioni amministrative efficaci, moderne, agili e capaci di incidere”.

Nicola Borrelli, direttore generale Cinema al Mibact, annuncia un “intervento organico nel campo della scuola, con 12 milioni a disposizione: ci sarà spazio anche per sensibilizzare sui danni della pirateria. Le sanzioni sono importanti e danno un segnale etico – aggiunge – ma da sole non bastano. Un’offerta legale semplice, a prezzi contenuti e ragionevoli è uno strumento altrettanto importante”.

“Tutto dipenderà dalle giovani generazioni – afferma nel suo keynote speech Christopher J. Dodd, presidente di Mpaa, la Motion picture association of America -. Si tratta di una sfida molto difficile, la pirateria è una minaccia incombente e che si evolve velocemente, in Italia e su scala globale. C’è però da chiarire agli utenti che i siti pirata non nascono per mettere i contenuti a disposizione di tutti, ma come vere e proprie imprese criminali. Molte persone lavorano duro in questo campo, e hanno il diritto di veder riconosciuto il loro lavoro: da questo punto di vista la pirateria è una minaccia alla creatività”.

Alla tavola rotonda moderata dal vicedirettore del TG5 Giuseppe De Filippi, si è fatto il punto sulle possibili contromisure per contrastare la pirateria. Dopo l’intervento di Giampalo Letta, vicepresidente e amministratore delegato di Medusa, ha preso la parola Paolo Genovese, regista e sceneggiatore: “Faccio fatica a spiegare ai miei figli che scaricare contenuti pirata è illegale – afferma – 15 anni fa scaricare un film pirata era complicato, mentre oggi è semplice, e i siti contano su interfacce curate, dalla parvenza ‘legale’. Per il cinema è particolarmente grave, inoltre, che la pirateria allontani gli utenti dalla sala, dalla tipologia di fruizione cioè per la quale i contenuti sono stati pensati: si tolgono spettatori alla sede naturale per cui quel prodotto viene realizzato”.

Secondo Alessandro Caccamo, Consigliere Univideo e Ad di 20th Century Fox Home entertainment, “L’home entertainment è un mercato vivo e solido, tra componente fisica e digitale. Le promozioni – sottolinea – sono fondamentali per attrarre sul mercato legale chi ricorre alla pirateria. Ma il fatto che chi non vuole andare al cinema abbia come scelta unica, per vedere gli stessi film, quella di ricorrere alla pirateria, è una questione su cui prima o poi si dovrà aprire una riflessione”.

“Abbiamo di fronte una sfida lunga, di anni, su più livelli – spiega Massimiliano Orfei, Chief financial and legal affairs officer di Vision Distribution – Non è pensabile ‘uccidere’ le sale cinematografiche, ma serve uno sforzo creativo di innovazione: dobbiamo cercare di portare i giovani in sala, facendo passare il messaggio dell’esperienza immersiva che si vive al cinema”.

Stefano Selli, vicepresidente di Confindustria RadioTv e direttore degli affari istituzionali per l’Italia di Mediaset, punta l’attenzione sul mercato delle dirette sportive: “In questo settore la pirateria è devastante – afferma, e causa una sottrazione di risorse colossale, le stesse risorse che servirebbero per acquisire i diritti delle manifestazioni. C’è una grande offerta di decoder e abbonamenti pirata, e non dobbiamo prendercela con i ragazzi: se i genitori non percepiscono il resto che esempio danno ai figli? Prima di parlare dell’aspetto repressivo si deve far percepire che si sta compiendo un reato”.

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