L'INTERVISTA

Giampaolo Letta (Medusa): “La pirateria si combatte con le multe ai consumatori”

Il vp e amministratore delegato di Medusa: “Sensibilizzare va bene, ma serve un deterrente forte. Il modello vincente è lo stesso che venne adottato per il casco o le cinture di sicurezza”

Pubblicato il 05 Giu 2017

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Nel momento in cui la pirateria nel campo dell’audiovisivo diventa sempre più una questione digitale, i mezzi per contrastarla devono rimanere al passo con i tempi, e utilizzare linguaggi specifici per il web. La comunicazione da sola rischia di non sortire effetti, se non sarà affiancata da multe anche per gli utenti finali, che devono essere consapevoli, ogni volta che scaricano illegalmente un film, di compiere un reato. E’ la ricetta contro la pirateria di Giampaolo Letta, vicepresidente e amministratore delegato di Medusa, che spiega la sua posizione in un’intervista a CorCom a margine della presentazione della nuova indagine sulla pirateria audiovisiva in Italia realizzata da Ipsos su commissione di Fapav, la federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali

Letta, perché prendere di mira anche gli utenti, oltre che le organizzazioni criminali?

Fino a oggi è stato molto difficile, e lo sarà sempre di più, contrastare i cosiddetti uploader, ovvero quelli che caricano sulla rete e sfruttano illegalmente i contenuti per trarne profitto: operano su piattaforme estere, si muovono in continuazione per non farsi individuare, e si avvalgono di strumenti di anonimato che rendono difficile la tracciabilità delle loro operazioni. Provare a sanzionare dal basso, cioè dall’utente finale, quindi chi scarica i contenuti, potrebbe essere una soluzione. In Germania lo si è fatto, e la sanzione pecuniaria, la multa, ha funzionato. Sarebbe una soluzione più che legittima, che potrebbe essere un deterrente importante. In Germania, inoltre, i proventi delle sanzioni vengono reimmessi nell’audiovisivo, e contribuiscono a finanziarlo. Certo, è fondamentale indagare sulle organizzazioni criminali, ma anche i consumatori devono capire che commettono un reato. Trovo calzante il paragone con l’entrata in vigore dell’obbligatorietà del casco su moto e scooter o delle cinture di sicurezza in auto: anche in quel caso l’unica misura valida, insieme alle campagne di sensibilizzazione, sono state le sanzioni”.

Passiamo allora alla comunicazione: cosa si può fare per aumentare la consapevolezza degli utenti sui temi della pirateria?

Sulla comunicazione dobbiamo immedesimarci di più e meglio su chi è il destinatario dei nostri messaggio. Una campagna minacciosa del tipo ‘stai commettendo un reato” potrebbe essere controproducente e rivelarsi un boomerang, perché potrebbe aizzare il pirata a scaricare illegalmente. Piuttosto sarà importante utilizzare internet e i linguaggi che funzionano su Internet per dare vita a una comunicazione mirata, che sappia anche essere provocatoria, utilizzando i linguaggi che oggi vengono usati sulla rete per provare ad arginare il fenomeno anche attraverso i cosiddetti influencer. Secondo me non è tanto utile avere star del mondo dello sport o del cinema come testimonial, quanto sforzarsi di ragionare con la testa degli utenti della rete e indirizzare loro messaggi precisi, utilizzando il linguaggio che riconoscono meglio.

Qual è la sua lettura dei dati dell’ultima indagine Fapav-Ipsos sulla pirateria nell’audiovisivo?

Ciò che emerge con forza è la dimensione del fenomeno, che nel tempo è cambiato ma è rimasto molto dannoso. Nell’ambito del cinema la rimodulazione è dovuta al fatto che la pirateria su supporti fisici sia andata fisiologicamente arretrando, mentre quella digitale è sopravanzata. Se volessimo vedere il bicchiere mezzo pieno emerge anche il fatto che oggi le piattaforme legali sono parecchie: un’offerta molto ricca con prezzi interessanti. I numeri ci suggeriscono di continuare su questa strada, anche se la competizione con la pirateria avviene su basi sleali, perché rispetto al ‘prezzo zero’ nulla è concorrenziale. Sulla tempistica però si può lavorare: l’offerta legale rispetto a quella pirata deve rispettare tempi – indicativamente quattro mesi – tra il momento dell’uscita in sala del film e quello della sua disponibilità su piattaforme online on demand. Un limite che a mio giudizio è assolutamente anacronistico, così come d’altra parte sarebbe dannoso uscire online lo stesso giorno dell’uscita al cinema, con il cosiddetto ‘day and date’. Ma una via intermedia, soprattutto per i film che non rimangono a lungo nelle sale, come spesso accade per alcuni contenuti d’autore, potrebbe essere una soluzione vincente. Capita a tutti noi, magari non potendo andare al cinema tutte le settimane, di perdere dei film: sarebbe utile ragionare con gli esercizi cinematografici, che in maniera troppo rigida bloccano questo sistema di ‘windows’, perché su alcuni film, che sono rimasti in sala due o tre settimane, consentisse di renderli disponibili online in tempi più rapidi, magari con un prezzo maggiorato che può essere condiviso con le sale. Si tratta semplicemente di andare incontro alla richiesta del mercato.

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