A dicembre si riunirà a Dubai la conferenza mondiale sulle telecomunicazioni (Wcit) dell’Itu, l’agenzia Onu dedicata alla definizione di standard tecnologici comuni nelle tlc. È l’Itu, ad esempio, a decidere globalmente l’uso delle frequenze per evitare che ogni Paese vada per conto suo creando problemi a tutti.
L’assemblea plenaria non si teneva da 25 anni e la cosa fa dunque notizia. Ma a fare più notizia è l’inserimento all’ordine del giorno di proposte di modifica della “costituzione” Itu. Se approvate, aspetti importanti della governance di Internet verrebbero affidati a un organismo che fa capo all’Onu. L’iniziativa di cambiamento è partita in particolare dall’Etno (il cui nucleo è costituito dagli ex incumbent europei) che punta su una revisione degli ITRs, i regolamenti internazionali delle tlc, per rafforzare le telco nello loro scontro sempre più acceso con gli over the top. Alcuni Paesi africani sono andati più in là, proponendo di affidare all’Itu i contenziosi derivati da mancati accordi commerciali o di rifiuto degli Ott a negoziare.
L’allargamento del ruolo dell’Itu ha suscitato, come era prevedibile, un acceso dibattito e molte contrarietà. Ne sono emerse posizioni ideologiche (astratte difese di una “libertà della rete” come valore assoluto da un lato; accuse ai Paesi ricchi di difendere privilegi contro i Paesi emergenti dall’altro), ma anche comprensibili opposizioni a fare dell’Itu un organismo di politica economica. All’Onu si decide a maggioranza dei 193 Paesi componenti, fra cui non si annoverano soltanto campioni di democrazia. Che l’Itu possa diventare un cavallo di Troia per censurare Internet nelle realtà meno democratiche è un timore più che comprensibile. Bene è, dunque, che l’Itu resti un organismo rigorosamente tecnico.
Questo non significa, però, che gli Ott debbano continuare a fare il bello e cattivo tempo ovunque. Diritto d’autore, sostenibilità degli investimenti nelle nuove reti, regime fiscale degli Ott. Lì sì c’è anche un confronto di interessi fra Usa ed Europa, non solo economico ma anche geostrategico. Sinora, gli stati Ue si sono mossi (o rimasti fermi) in ordine sparso e non coordinato. Più che della conferenza di Dubai, c’è bisogno di una conferenza di Bruxelles.