Il prossimo decennio potrebbe caratterizzato da una crisi occupazionale dovuta alla sempre maggiore diffusione delle macchine e del digitale in tutti i settori lavorativi. E’ la considerazione contenuta nella ricerca “Il futuro del lavoro nella società digitale” commissionata da Aica e condotta da Sda Bocconi, School of Management.
Dall’indagine è emerso innanzitutto che le aziende cavalcheranno le opportunità della tecnologia ma sentono, per il 69%, anche la responsabilità di preoccuparsi dei livelli occupazionali in diminuzione.
“L’80/90% dei manager e i direttori delle risorse umane prevedono che il lavoro impiegatizio e degli operai rischia di scomparire e in parte anche quello concettuale ha prospettive di diminuire. E nell’arco di dieci anni si cominceranno a vedere i primi effetti. Per questo le aziende stanno investendo per cercare di contrastare gli effetti dell’automazione. Anche se oggi possiamo già vedere computer che fanno investimenti finanziari, l’aumento della formazione a distanza e altri fenomeni che progressivamente riducono il lavoro di diverse categorie” spiega Alfredo Biffi, professore Sda e curatore della ricerca insieme a Pierfranco Camussone. Secondo gli esperti c’è comunque forte incertezza su quello che potrà succedere sia in una logica aziendale sia a livello economico e sociale.
Ma quali saranno gli effetti sui diversi ambiti lavorativi? Aggregando i dati di tutti gli intervistati, emerge come l’impatto, visibile fin d’ora, entro 10 anni genererà la crisi occupazionale in modo sensibile. Un impatto più forte della sostituzione uomo-macchina si avrà a livello di attività operative fisiche (87% dei rispondenti) o intellettive (92%) ma subiranno un effetto sostituzione anche quelle concettuali di livello (51%).
In questo contesto da sottolineare il fatto che i giovani non hanno comunque una netta tendenza a scegliere il settore Ict come ambito lavorativo futuro, ma si distribuisco sui settori dei rispettivi ambiti di studio. Per ridurre i rischi occupazionali e rilanciare il lavoro, secondo i manager, è necessario comprendere quali comptenze sono necessarie a un modello di sviluppo che si sta trasformando e, conseguentemente, decidere quali far emregere attraverso percorsi di formazione e qualificazione delle competenze non solo digitali.
“Investire sulla formazione scolastica e universitaria prima e sull’aggiornamento professionale poi rappresenta una scelta obbligata nel contesto di digitalizzazione dei processi aziendali che stiamo vivendo – sottolinea il presidente di Aica, Giuseppe Mastronardi – Per essere in grado di dominare il cambiamento, anziché subirlo, occorre dotarci di strumenti culturali e operativi che ci consentano di rapportarci in modo efficace a un mercato del lavoro in continua trasformazione. Investire nella costruzione di una cultura digitale è perciò importante tanto quanto investire in asset di materiali e tecnologie”.