Contratti di lavoro più trasparenti, maggiori diritti e retribuzioni adeguate. La scende in campo per regolamentare i lavoratori della gig economy. La Commissione europea ha adottato oggi una proposta di direttiva ad hoc che – stando alle stime di Bruxelles – rispetto a quella in vigore, interesserà e tutelerà altri 2-3 milioni di lavoratori con contratti atipici. La proposta prevede al contempo misure per evitare oneri amministrativi a carico dei datori di lavoro, dando loro ad esempio la possibilità di fornire per via elettronica le informazioni richieste.
La direttiva attualmente vigore risale a 25 anni fa e non riflette più l’evoluzione delle realtà del mercato del lavoro: la maggiore flessibilità e la crescente diversità delle forme di lavoro subordinato hanno messo in luce una serie di lacune nella tutela dei lavoratori e, nel caso dei lavoratori vulnerabili, hanno talvolta contribuito a nuove forme di precarietà.
L’obiettivo è quello di tutelare forme di lavoro che al momento sono spesso escluse, come appunto i lavoratori di Foodora, Uber & co. Coinvolti anche i lavoratori domestici, quelli con contratti di brevissima durata e i lavoratori pagati a voucher.
“La consultazione con le parti sociali ha confermato la necessità di condizioni di lavoro più trasparenti nell’Ue – spiega Valdis Dombrovskis, Vicepresidente della Commissione – La proposta di oggi trova il giusto l’equilibrio tra un’occupazione più sicura, la flessibilità e la parità di condizioni. Il provvedimento rispetta pienamente le pratiche nazionali del dialogo sociale, permettendo alle parti sociali di attuare le nuove prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro mediante contratti collettivi.”
Più concretamente, la Commissione intende ridurre il rischio che i lavoratori non godano di sufficiente tutela allineando la nozione di lavoratore a quella della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Secondo le norme vigenti, le definizioni possono variare e alcune categorie di lavoratori finiscono col rimanere escluse. Impiegando la definizione di lavoratore della giurisprudenza della Corte, la direttiva garantisce la copertura delle stesse categorie generali di lavoratori.
Il provvedimento stabilisce che i lavoratori ricevano un fascicolo informativo aggiornato e ampliato sin dal primo giorno del rapporto di lavoro, e non due mesi dopo come accade attualmente.
Focus anche sui diritti minimi da garantire: il diritto a una maggiore prevedibilità del lavoro per coloro che lavorano per lo più con un orario variabile, la possibilità di chiedere la transizione a una forma di occupazione più stabile e di ricevere una risposta scritta o il diritto alla formazione obbligatoria senza deduzione dello stipendio.
Si rafforzano anche gli strumenti di esecuzione e i mezzi di ricorso come ultima risorsa per risolvere eventuali controversie quando non è sufficiente il dialogo.
“Con la proposta di oggi interveniamo per migliorare la trasparenza e la prevedibilità delle condizioni di lavoro – dice Marianne Thyssen, commissaria per l’Occupazione, gli affari sociali, le competenze e la mobilità dei lavoratori – Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente e presenta un numero sempre maggiore di occupazioni e contratti non standard. Ciò significa che sempre più persone rischiano di non essere più tutelate dai diritti di base, a partire dal diritto di conoscere le proprie condizioni di lavoro. La direttiva andrà a beneficio sia dei lavoratori che delle imprese.”
La direttiva proposta dovrà essere adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea e dovrà essere attuata dagli Stati membri tramite la legislazione o gli accordi collettivi tra le parti sociali. Le parti sociali avranno la possibilità di modulare i diritti minimi proposti, a condizione che venga rispettato il livello generale di tutela.
L’iniziativa rientra nelle azioni intraprese dalla Commissione per attuare il pilastro europeo dei diritti sociali, lanciato in occasione del summit Ue sull’occuopazione che si è tenuto a Göteborg il 17 novembre scorso.
Le mosse della Ue fanno seguito a quelle di alcuni Paesi europei che stanno intervendo sulla questione. Nei giorni scorsi, in Spagna, l’ispettorato del lavoro di Valencia in Spagna ha stabilito che i ciclo-fattorini (“riders”) che lavorano per le piattaforme digitali – nel caso specifico si trattava di Deliveroo – non sono lavoratori autonomi, ma dipendenti. “La qualifica di “autonomi” non definisce la loro attività. Il rapporto di diritto civile nasconde in realtà un rapporto di lavoro”. si legge nel provvedimento.