L’Italia non è un Paese per new business. I costi per l’avvio di startup e le tempistiche per sdoganare le pratiche sono biblici al confronto con gli altri Paesi europei, economie avanzate e non solo. Qualche passo avanti è stato fatto – a partire dalla costituzione online delle startup che pur ha avuto vita dura nelle lotte di potere fra notai e commercialisti – ma siamo ancora all’anno zero se si allarga l’orizzonte alla lista degli iter burocratici amministrativi con cui devono vedersela anche i cittadini. Fra gli obiettivi del Pnrr, uno dei più ambiziosi in assoluto visto che a catena impatta su tutte le misure, c’è quello di abbattere ben 600 procedure entro il 2026, 200 già entro il 2024. Stiamo parlando dunque di un numero enorme e siamo ancora alla fase delle “consultazioni”.
Partiamo dalle imprese: in una classifica appena pubblicata da Money.co.uk ci piazziamo all’ultimo posto fra 35 Paesi presi in esame. Gli italiani hanno bisogno di lavorare in media per 11 settimane, 4 giorni, 5 ore e 42 minuti per avere i soldi necessari per avviare una nuova attività. Agli inglesi – primi classificati – bastano 1 ora e 21 minuti. Al secondo e terzo posto Danimarca e Irlanda rispettivamente 6 ore e 6 minuti e 1 giorno, 1 ora e 47 minuti. Tempi che ci lasciano a dir poco stupiti. Per avviare una starup in Italia servono infatti 3.941 euro contro i 14 euro del Regno Unito. Un gap allarmante che resta elevato persino con il penultimo Paese classificato, il Belgio con 2.144 euro. La strada, dunque, per il nostro Paese è lunga, lunghissima. E la burocrazia, parliamoci chiaro, resta il nemico numero uno sul cammino del Pnrr: il rispetto della roadmap è la conditio sine qua non imposta dall’Europa per l’erogazione dei fondi. E sarà molto complesso arrivare a traguardo considerati gli iter amministrativi necessari anche per attività a dir poco banali.
Se allarghiamo l’orizzonte alla vita quotidiana, quella dei cittadini comuni basta un esempio su tutti per farsi un’idea della situazione: il rilascio della carta di identità elettronica che in alcuni Comuni, a partire da Roma, richiede incomprensibili tempi biblici, fino a 4 mesi. Il sindaco Roberto Gualtieri ha promesso una svolta, ma fra il dire e il fare chissà quanto tempo ci vorrà ancora. Fra gli obiettivi del Pnrr c’è proprio il forte abbattimento delle procedure amministrative. Il ministro della PA Renato Brunetta ha annunciato l’avvio di una consultazione pubblica per coinvolgere cittadini e imprese, le stesse pubbliche amministrazioni e associazioni, enti e chi altro voglia dire la sua. “Facciamo semplice l’Italia. Le tue idee per una PA amica”, questo il nome dell’iniziativa. Lodevole, per carità, come qualsiasi iniziativa votata a venire incontro alle esigenze della società, ma tremano i polsi all’idea che ci sia bisogno di una consultazione e che si debba chiedere alla società tutta quali siano le cose che non vanno, che sono da anni, da decenni, sotto gli occhi di tutti. E peraltro la stessa consultazione diventa una procedura aggiuntiva: bisogna collegarsi al sito PA.gov.it e complicare un questionario in sei tappe dove non solo bisogna indicare i problemi ma anche suggerire quale ruolo per svolgere la digitalizzazione per risolverli. Alla faccia dei team e delle task force chiamati a trovare soluzioni.