«Se parliamo di professionisti, in realtà, parliamo di impresa!: non è solo un titolo a effetto, scelto per il convegno finale dell’Osservatorio Ict&Professionisti – spiega Alessandro Perego, ordinario al Politecnico e Responsabile Scientifico dell’Osservatorio promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano – ma una proposta alle istituzioni, di guardare oltre gli schemi tradizionali nelle scelte di sostegno indirizzate al mondo imprenditoriale. L’impresa non è solo espressione di un’unità giuridica, ma deve comprendere le professioni integrate all’interno di delicati processi lavorativi». In Italia le micro e Pmi rappresentano il 99% delle imprese, l’80% degli addetti e il 69% del valore aggiunto. Oltre 400mila professionisti – avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro – gestiscono le fasi cruciali dei processi amministrativi, fiscali e legali dei loro clienti.
La fisiologica carenza di risorse finanziarie delle micro e piccole imprese non consente di disporre nei loro organici di alcune competenze specialistiche. Se poi consideriamo che, spesso, i professionisti accompagnano gli imprenditori nelle scelte strategiche e, non di rado, vengono consultati anche per la gestione dei patrimoni privati, possiamo capire l’importanza del professionista nell’ecosistema imprenditoriale e il vero legame con esso.
“Il professionista – continua Perego – può diventare ‘veicolo culturale’ per nuovi approcci gestionali nelle imprese, che prevedono l’uso più intenso delle tecnologie. Proprio perché il suo parere è ascoltato e risulta autorevole”. Il 45% dei commercialisti e il 35% dei consulenti del lavoro vengono coinvolti dai clienti nelle scelte informatiche aziendali. Gli studi sono in prevalenza di piccole dimensioni, esattamente come le imprese: il 65% degli avvocati raggiunge al massimo i 50mila euro di fatturato, il 48% dei commercialisti non supera i 100 mila euro, contrariamente ai consulenti del lavoro, mediamente più grossi, fermi al 35% in questa fascia di fatturato. La redditività nel 2012 è diminuita oltre il 10% per il 35% degli studi; il 52% ha dichiarato una sostanziale stabilità e il 13% un incremento oltre il 10%. Nelle tre fasce di redditività i picchi percentuali riguardano gli avvocati (37%) nella diminuzione superiore al 10%, i consulenti del lavoro (60%) nella fascia di stabilità e i commercialisti (14%) nella crescita oltre il 10%. Le attività degli studi producono molti documenti cartacei e usano intensamente il lavoro manuale. Il 60% dei commercialisti e dei consulenti del lavoro dispongono di archivi almeno prossimi alla saturazione, ma la doppia archiviazione – cartacea ed elettronica – è ancora molto diffusa. Fatta eccezione per i commercialisti, più orientati al business ed efficienti nella parte amministrativa, le professioni dedicano molto tempo all’amministrazione dello studio.
L’Ict potrebbero “liberare” un po’ di tempo dalle attività “non core” a vantaggio del business. Nonostante ciò, solo il 31% dei commercialisti, il 37% dei consulenti del lavoro e il 9% degli avvocati, controllano il tempo assorbito dai clienti e dalle attività svolte. Dalla ricerca emergono alcuni fatti importanti: 1) la percezione teorica del valore delle tecnologie e la difficoltà pratica a portarle nei processi lavorativi, accresciuta dal 17% di professionisti non intenzionati a investire nel prossimo biennio; 2) la tendenza a privilegiare investimenti più orientati alla performance dello strumento – pc più potenti – che non a quella di processo; 3) non emerge una volontà diffusa di integrare il business tradizionale con nuovi servizi, con il ricorso a tecnologie innovative (conservazione a norma, firma grafometrica…). Emergono, però, dei segnali importanti: la propensione a investire cresce con il miglioramento della redditività, mentre l’alfabetizzazione digitale diventa cruciale per sviluppare una “cultura tecnologica” tra i professionisti. Il 49% degli avvocati, in particolare, ritiene che la poca diffusione dell’Ict negli studi dipenda dalla scarsa alfabetizzazione dei titolari. Le contraddizioni che emergono sono lo specchio di un percorso di avvicinamento alle tecnologie che genera sia attrazione, sia diffidenza. Gli ordini territoriali, le associazioni, le camere di commercio, la politica, pensano in modo sistemico e a programmi di sostegno – non solo finanziario – che accomunino imprese e professionisti? Hanno compreso che “se si parla di professionisti, in realtà, si parla di imprese?”.