Il cambio di passo che l’innovazione digitale sta imponendo è ormai unanimemente classificato con il termine smart. Sono smart le città, sono smart i cittadini alfabetizzati e interconnessi, sono smart le autovetture, sono smart le fabbriche. Tutto è smart o, almeno, si vorrebbe che lo fosse. Il nuovo paradigma comportamentale e trasversale a qualsiasi agire sembra proprio l’essere smart. Le tecnologie diventano, quindi, l’elemento abilitante, in grado di collegare individui, oggetti e strumenti per scambiarsi informazioni e prospettare azioni conseguenti.
La competitività, anch’essa smart-based, dev’essere frutto di una strategia più ampia, altrimenti la ricaduta più probabile è l’eccellenza del singolo, la monade che rappresenta la qualità dell’UNO ma non del sistema. È un po’ questo il rischio per le nostre imprese. La Germania, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno pensato a grandi programmi nazionali di innovazione digitale applicati alla manifattura, definendo le linee guida e i criteri per lo sviluppo di una nuova industria. L’Italia, come spesso accade in merito ai fenomeni che hanno bisogno di approcci sistemici e di programmazione tace, non dà segni di un pensiero fattivo e strutturato.
Ci affidiamo alle iniziative individuali, alle eccellenze dei principi illuminati che guardano oltre e sono in grado di reagire, ma lo fanno perché dotati di capacità in grado di interpretare i segnali provenienti dai più ampi sistemi – spesso di natura internazionale – a cui appartengono. “L’Italia – spiega Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano – è la seconda manifattura d’Europa. Il contributo che dà alla ricchezza del Paese avrebbe bisogno di maggiore attenzione da parte delle istituzioni.
L’esempio tedesco è da seguire anche se, soprattutto in questo caso e alla luce delle differenze tra i comparti industriali dei due paesi, serve una lettura originale”. In Italia lo smart manufacturing procede, mediamente, al rallentatore. Le cause? “Le ridotte dimensioni delle nostre imprese – prosegue Miragliotta – rappresentano sicuramente una barriera allo sviluppo della ‘manifattura intelligente’. Tuttavia, ci sono altri ostacoli che si sommano, a partire dal basso livello di alfabetizzazione digitale della nostra imprenditoria, per arrivare all’assenza di un equilibrio tra le divisioni IT e OT delle aziende (NdA: Information Technology vs Operational Technology). Anche i fornitori di innovazione, secondo l’opinione delle aziende clienti, potrebbero approcciarsi meglio, puntare meno a monetizzare la vendita delle soluzioni e supportare di più i clienti per far loro comprendere la portata del cambiamento”.
Quali sono gli ambiti applicativi dello smart manufacturing? Qual è il loro grado di maturità? La ricerca dell’Osservatorio ha individuato tre grandi aree smart: execution (produzione, logistica, manutenzione e qualità), planning (produzione, distribuzione e gestione del magazzino) e integration (sviluppo di nuovi prodotti, gestione delle relazioni di fornitura). Nelle 43 imprese nazionali esaminate sono state censite 135 applicazioni, prevalentemente impiegate nei processi operativi. Il mix tecnologico intercettato passa dalle internet of things al cloud manufacturing (NdA: espressione sia della tipica ‘nuvola’ di matrice IT, sia delle risorse legate al mondo della produzione), dalle advanced human machine interaction (NdA: visori per la realtà aumentata e wearable per l’interazione con i macchinari) fino all’advanced automation, comprensiva delle soluzioni dotate di capacità cognitiva e di adattamento al contesto di impiego. Anche all’estero (esaminate 55 aziende e 59 applicazioni) è la smart execution a farla da padrone. I settori più sensibili si rivelano l’automotive, l’aerospaziale/difesa e il metalmeccanico “Per quanto riguarda il nostro Paese – conclude Giovanni Miragliotta – emerge un quadro con evidenti chiari-scuri. Le medie e grandi aziende sono già attive su questi temi; tuttavia, è evidente la mancanza di un disegno strategico più ampio, sia a livello di singola impresa, sia di sistema Italia.
La differenza è tutta qui: la misura di un reale avanzamento non è data dall’adozione di prodotti tecnologici, ma dalla capacità di inserirli nei processi lavorativi per trasformarli, rendendoli più efficienti ed elevando il livello di competitività”. La quarta rivoluzione industriale è già cominciata!