Sono poche le occasioni in cui si riconoscono all’adult entertainment i suoi meriti tecnologici. Rispetto alle scelte di standard che hanno influenzato molte altre industrie mediali, dal Vhs al Dvd (con l’eccezione del Blu ray: l’industria a luci rosse aveva puntato sull’Hd Dvd, ma l’on line stava già fiaccando le videoteche) passando per i codec audio-video fino alle prime forme di transazioni elettroniche, il mercato è quasi sempre andato nella direzione che prendeva il porno. Oggi è il porno a inseguire, muovendosi spesso sull’onda delle offerte premium di video on demand e in streaming e, sul fronte dei pagamenti, con gli strumenti messi a disposizione per l’e-commerce, il betting e il gaming on line. Con due differenze: dopo l’esplosione della pirateria, che ha eroso drasticamente il fatturato delle case di produzione e distribuzione, l’industry è alla ricerca di un modello di business sostenibile. Come se non bastasse, in un mondo, quello delle nuove tecnologie, dove le parole d’ordine sono inclusione, trasparenza e interfacce seamless, i grandi marketplace digitali e i big dell’e-payment, a partire da Paypal, stanno facendo guerra ai produttori di contenuti piccanti. Se Apple ha da subito bandito da iTunes qualsiasi app o file in odore di erotismo, Mountain View ha innalzato ultimamente barriere su Google Play, Adwords e device proprietari, mentre Amazon deve vedersela con battaglie di altra natura: al momento, i contrasti col porno sono quelli che potrebbero derivare da una causa intentatagli da un network tv della Florida che sei anni fa aveva già registrato il marchio Fire Tv, lo stesso che Amazon ha adottato per il suo set top box.
Rispetto ai sistemi di pagamento, è indicativo il fatto che PayPal sia attivo solo sui siti del gruppo a stelle e strisce 21Sextury (che adotta anche l’omologo Clickandbuy). Non è un caso: la società che fa capo a eBay non esita a chiudere gli account legati a imprese e professionisti del settore. Tra i casi più eclatanti quelli delle pornostar Asia Carrera e Tasha Reign. La Reign (al secolo Rachel Swimmer), imprenditrice di se stessa con laurea alla Ucla, a maggio ha sollevato un polverone, denunciando il caso di discriminazione con una lettera di fuoco ad Al Jazeera America.
Non bastano queste difficoltà a scoraggiare un’industria che ha sempre dovuto fare i conti non solo con le consuetudini del perbenismo e con forme più o meno esplicite di ghettizzazione, ma – proprio per questo – anche con la richiesta di discrezione e sicurezza delle transazioni. Al di là delle carte di credito, molti operatori hanno sviluppato sistemi alternativi: sempre su 21Sextury, grazie a Sofort Banking, è possibile abbonarsi fornendo on line i dati del proprio istituto di credito e trasmettere la somma da pagare come un bonifico ordinario. In alcuni casi, come su NaughtyAmerica, si può autorizzare l’addebito sul conto telefonico o digitalizzare un assegno. Brazzers, nella top 500 dei portali più visitati al mondo, permette di pagare con i codici delle giftcard di una miriade di brand che nulla hanno a che fare col porno: da Sephora a Hewlett Packard passando per Brooks Brothers, Armani e Barnes & Noble. Con una tessera Starbucks da 25 dollari, per esempio, si acquistano 16 giorni di accesso ai circa 20 siti del gruppo Usa. Il sistema garantisce la privacy totale, ma di fatto rende possibile la fruizione ai minori di 18 anni, che possono acquistare virtualmente ovunque una delle giftcard accettate e usarla per visualizzare filmati e live sex show.
L’ultima frontiera è quella delle crittovalute: l’anonimato è pressoché assoluto ed è il motivo per cui si sono già registrati casi di scambio di materiali pedopornografici. Nei circuiti ufficiali poche piattaforme le hanno adottate. Tra queste, l’olandese Protranstech BV accetta pagamenti non solo in Bitcoin, ma anche in Wankcoin, una crittomoneta da poco introdotta proprio per l’adult entertainment: il numero di crediti all’interno del wallet può essere incrementato, attraverso uno specifico algoritmo, guardando materiale pornografico. Il nome del conio del resto è emblematico: to wank, nello slang inglese, significa masturbarsi. Considerato però che secondo ExtremeTech il 30% del traffico Web è legato alla pornografia e che il solo sito Xvideos riceve 4,4 miliardi di visite ogni mese, mentre il giro d’affari del settore è crollato del 70% dal 2007, sembrerebbe proprio che l’industria debba inventarsi qualcosa di più del Wankcoin per convincere gli utenti a pagare per guardare.