IL CASO

Privacy, Google e Whatsapp con Apple: “Precedente preoccupante, dati a rischio”

Il braccio di ferro fra Washington e l’azienda infiamma il dibattito su sicurezza contro privacy. Le imprese hi-tech schierate con Tim Cook: “Abilitare l’hacking è una strada senza ritorno”. E anche la politica si divide

Pubblicato il 18 Feb 2016

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Nuovo alleato per Apple nella guerra della privacy contro il governo Usa. Il muro alzato dal colosso di Cupertino contro le autorità statunitensi, dopo la richiesta di accesso ai dati dell’iPhone appartenuto a uno degli attentatori di San Bernardino e l’ordine di un giudice federale statunitense di consentire la forzatura dei codici criptati del device, sta provocando in queste ore intensi dibattiti sulla scelta di Tim Cook.

L’ultima presa di posizione pubblica è di quelle pesanti e arriva da Google che, per voce del proprio Ad Sundar Pinchai, ha espresso il proprio sostegno pubblico alla posizione di Apple. Cinque i tweet di Pinchai, secondo il quale “obbligare le aziende ad abilitare l’hacking può compromettere la privacy degli utenti”. Pur essendo cosciente che “le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence devono affrontare sfide significative” contro la criminalità e soprattutto il terrorismo, il manager ritiene che l’accesso ai dati sia già “garantito dalle leggi vigenti» e che la forzatura di un dispositivo sia qualcosa di ben diverso.

“Sarebbe un precedente preoccupante”, ha sottolineato Pinchai ribadendo la stessa posizione espressa da Cook che nella giornata di ieri aveva definito “spaventosi” i potenziali effetti della richiesta del Governo e della decisione della magistratura statunitense.

Tra i primi ad aver espresso sostegno ad Apple Edward Snowden, la talpa della Nsa, seguito immediatamente da Jan Koum, co-fondatore di WhatsApp e nel board di Facebook, che ha spiegato con un post sul social network fondato da Mark Zuckerberg di essere “d’accordo con quanto espresso da Tim Cook nella sua lettera” e preoccupato per la creazione di un “precedente pericoloso”. Dal quartier generale di Facebook nessun commento ufficiale, ma il fatto che il co-fondatore di Whatsapp, il quale siede nel Cda del social network, si sia esposto in modo così netto potrebbe far pensare che a Menlo Park la pensano come Apple e Google.

Secondo quanto riportano alcuni sondaggi diffusi dai media, divisi anche gli americani sul giudizio rispetto alla presa di posizione del colosso di Cupertino. Nel dibattito è intervenuto anche Donald Trump, candidato repubblicano alle primarie Usa: “Sono al 100% con le corti. Chi si credono di essere? Devono aprire quell’iPhone – ha commentato intervenendo alla trasmissione ‘Fox & Friends‘-. Credo che, nel complesso, per sicurezza dobbiamo aprirlo, dobbiamo usare le nostre teste. Dobbiamo usare il buon senso”. Su Twitter è intervenuto anche Ron Wyden, senatore dell’Oregon, sostenendo che la richiesta dell’Fbi è “negativa per la sicurezza degli utenti americani” e che potrebbe “creare un precedente che mette a rischio la privacy nell’era digitale”.

Al contrario Dianne Feinstein, senatrice della California senator e vice-chair della Commissione Intelligence del Senato Usa, dice che se Apple non ha volontariamente ubbidito a un ordine “proporrà una legge che, al contrario, faciliti questo passaggio” visto anche i numerosi tentativi falliti in questo senso nello scorso anno. “Nel mio Stato – dice la Feinstein – ci sono state 14 morti per mano terrorista ed esiste un telefono criptato che potrebbe dare informazioni”. “Credo che, come governo, abbiamo tutte le responsabilità e il dovere di chiedere a Apple di fornire queste informazioni”.

Secondo Ed Black presidente della Computer & Communications Industry Association il caso rischia di “creare quelle vulnerabilità di cui gli hacker e i terroristi hanno bisogno” per I loro attacchi. Giudizio negativo anche dalla Information Industry Association, che ha espresso preoccupazione per un’ordinanza che “rischia di fare più male che bene”. Per Alex Abdo della American Civil Liberties Union il fatto che l’Fbi possa forzare Apple ad hackerare I device dei propri clienti è paragonabile alle pratiche perpetuate dai “regimi repressivi”.

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