Le nuove regole comunitarie in materia di privacy online minacciano di rafforzare il dominio degli OTT statunitensi sul mercato Ue, per converso alzando ulteriori barriere allo sviluppo delle web company domestiche. A suonare l’allarme è uno studio preparato dalla società di consulenza Analysys Mason per conto di Ofcom, l’autorità per le tlc britannica, e i cui risultati salienti sono stati anticipati venerdì scorso dal portale di affari regolamentari Mlex.
Presentata in pompa magna nel gennaio 2012 dal commissario europeo alla giustizia Viviane Reding, la proposta di normativa sulla data protection presiede ad una risoluta stretta regolamentare sull’accesso e il trattamento delle informazioni personali su Internet. L’introduzione di norme più stringenti, nelle intenzioni del legislatore comunitario, avrebbe anche dovuto ridimensionare il vantaggio competitivo di cui beneficiano i giganti del web americani, in parte perché fino ad oggi esonerati dall’applicazione della legislazione comunitaria in materia. Ma lo scenario disegnato dagli autori del rapporto appare piuttosto indicare il contrario. Secondo Analysys Mason, un regime più restrittivo andrebbe piuttosto a danneggiare buona parte dei concorrenti europei, meno attrezzati tecnicamente e finanziariamente per fare fronte ai caveat imposti dalle nuove norme.
“La disponibilità di dati personali sulla Rete agevola i new entrant e le web company più piccole nel collaudare e sviluppare nuovi servizi”, scrive la società di consulenza. “Se la possibilità di accedere a queste informazioni viene ridimensionata per effetto dell’entrata in vigore del regolamento, solo i player che posseggono o trattano già ampie quantità di dati possono continuare a crescere” . Viceversa, tutti gli altri sperimenterebbero maggiori difficoltà tecniche e legali, a tutto scapito della loro capacità di espandersi e innovare. Il risultato: “più ostacoli all’ingresso di nuovi soggetti (o all’espansione di quelli esistenti) che potrebbero condurre a rafforzare ulteriormente il potere di mercato” di Google, Amazon e degli altri colossi della Silicon Valley.
Com’è noto, il pezzo di pregio della normativa firmata dalla Reding è l’estensione del raggio di applicazione delle regole anche alle aziende che extra-Ue che trattano dati di cittadini comunitari. Tra le altre novità di rilievo figura l’introduzione del consenso esplicito al trattamento, del diritto alla portabilità dei dati, e di quello all’oblio, ossia l’obbligo di cancellazione di informazioni personali su richiesta dell’utente. Sono stati anche resi più severi i parametri per il trasferimento di dati personali verso Paesi terzi, subordinandolo all’autorizzazione dei Garanti nazionali, e così le sanzioni per le aziende inadempienti: potranno elevarsi sino al 2% del fatturato. Altre regole puntano alla semplificazione.
Al termine di un iter tortuoso e funestato di polemiche, il pacchetto è stato votato in prima lettura dal Parlamento europeo all’inizio di aprile, prima di passare all’esame degli stati membri. Questi ultimi però hanno in più occasioni ventilato scetticismo all’indirizzo della bozza emendata da Strasburgo. Una fronda piuttosto agguerrita di paesi, tra i quali Regno Unito, Danimarca, Olanda – continua da mesi a bloccare le trattative in Consiglio sulla proposta, così da rendere sempre più incerte le tempistiche di emanazione.
Nello specifico il rapporto di Analysys Mason passa allo scandaglio l’utilizzo dei dati personali da parte di aziende attive nel settore delle telecomunicazioni, dei nuovi media, e dei servizi internet. Come ricordano gli autori, la possibilità di trattare informazioni che riguardano i comportamenti in rete degli utenti, nonché la loro posizione geografica, contribuisce ad accrescere il valore di mercato delle inserzioni pubblicitarie vendute su Internet e aiuta le aziende a sviluppare prodotti più in linea con le necessità e i desideri dei consumatori. Il giro d’affari dei dati online in Europa, secondo uno studio pubblicato l’anno scorso da Boston Consulting Group, potrebbe raggiungere nel 2020 un valore pari a 1.000 miliardi di euro.”
Analysys Mason riconosce che la protezione della privacy deve rappresentare un “criterio fondamentale” nell’orientare le scelte e le politiche dei decisori europei. Ma il quadro regolamentare in vigore, secondo lo studio, è già “in grado di rispondere alla maggior parte delle sfide odierne”, laddove una legislazione più restrittiva porta il rischio “di imbrigliare l’innovazione e danneggiare la concorrenza”.