Prima vittoria giudiziaria per Apple nel braccio di ferro con l’amministrazione Obama sulla privacy digitale: affrontando un caso di droga, un giudice federale di New York ha stabilito che il dipartimento di Giustizia non può obbligare la società di Cupertino a sbloccare un iPhone. Una sentenza che va a favore del colosso di di Cupertino nella sua battaglia con il governo Usa, che gli ha chiesto di sbloccare l’iPhone del killer di San Bernardino, l’uomo che con la moglie uccise 14 persone in California.
Il giudice James Orenstein di New York, una sentenza di 50 pagine, ha stabilito che le forze dell’ordine non hanno l’autorità per obbligare Apple ad obbedire. “Quel che il governo vuole non è ottenibile perchè il Congresso ha preso in esame una legge a questo scopo, ma non l’ha approvata” scrive il giudice. La Drug Enforcement Agency e l’Fbi si sono rivolte al giudice per obbligare Apple a violare un iPhone confiscato nel giugno 2014 a un presunto trafficante di metanfetamina.
Il governo Usa cercava di obbligare Apple a sbloccare l’iPhone sulla base dell’All Writs Act, invocato anche nel caso di San Bernardino, una legge del 1789 che dà ampi poteri alla polizia. Orenstein si è rifiutato di convalidare l’ordine, secondo lui contrario ai principi costituzionali e materia di deliberazione del Congresso. “E’ esattamente il punto del caso di San Bernardino” ha detto un alto dirigente del gruppo californiano al telefono con i giornalisti dopo la sentenza.
Intanto la guerra tra Apple e l’Fbi si sposta per la prima volta nelle stanze del potere di Washington. Oggi, nel pomeriggio americano, infatti il capo della polizia federale James Comey e il direttore dell’ufficio legale di Cupertino, Bruce Sewell, testimonieranno davanti alla commissione Giudiziaria della Camera. Si tratta di due interventi divisi nei quali le due parti dovranno convincere i politici della bontà della loro azione: è giusta la posizione di Apple che ha deciso di non collaborare con il governo per decrittare il contenuto dell’iPhone 5C del killer di San Bernardino, California? Oppure è corretta la richiesta dell’Fbi che non vede nella sua richiesta una violazione della privacy?
Per ora sul sito della commissione è stata pubblicato l’intervento che più tardi Sewell pronuncerà davanti ai politici di Washington. Anche se nei giorni scorsi il ceo di Apple, Tim Cook, aveva già spiegato gli elementi che hanno portato al rifiuto di Apple, la testimonianza del legale di Cupertino rende la questione molto più chiara. Swell pone tre grandi domande: vogliamo porre un limite alla tecnologia che protegge i nostri dati anche se i cyber-attacchi continuano ad aumentare? L’Fbi può impedire a Apple e agli altri gruppi tech di offrire ai cittadini americani i prodotti più sicuri che riesce a produrre? L’Fbi ha il diritto di chiedere a una società di produrre un dispositivo secondo regole specifiche?
Quelle di Sewell sono ovviamente tutte domande retoriche per spiegare ai giudici che quanto richiesto dalla polizia federale è una violazione della libertà e della privacy. E allo stesso tempo potrebbe cerare un precedente attraverso il quale fare altre richieste in futuro. “Gli hacker e i cyber criminali potrebbero usare questo (la debolezza creata con un decrittaggio, ndr) per entrare nella nostra privacy e nella nostra sicurezza personale”, si legge nel discorso depositato da Sewell alla commissione. E ancora: “Alcuni di voi avranno un iPhone nella lora tasca adesso e se ci pensate ci sono più informazioni immagazzinate su quell’iPhone di quelle che un ladro potrebbe trovare entrando nelle vostre case”, si continua a leggere nel documento che pronuncerà oggi il legale. “Quando l’Fbi è venuto da noi gli abbiamo dato tutte le informazioni che avevamo legate alla loro indagine su San Bernardino”, concluderà Sewell.
In questo contesto, la sentenza del giudice di New York potrebbe essere usata come un precedente per far deragliare anche in questo caso le richieste del governo, anche se qui si tratta di terrorismo e non di reati minori.