Dal recente monitoraggio del Csm sul processo civile telematico risultano poche luci e molte ombre. Cosi mentre da un lato il Pct è considerato strumento di efficienza e di trasparenza dell’amministrazione della giustizia, dall’altro non si è mancato di sottolineare, anche con una certa preoccupazione, come l’esercizio della funzione giurisdizionale oramai sia quasi esclusivamente dipendente dalla qualità della infrastrutturazione tecnologia e che quindi, di conseguenza, i livelli di garanzia sono articolati sul territorio a macchia di leopardo. A ciò si accompagnano altre criticità che consistono nella mancanza di scelte strategiche fondamentali sia nelle politiche di conservazione dei documenti che della sicurezza dei sistemi, deficienze che sono il frutto di quella filosofia emergenziale dell’utilizzo dell’informatica e della telematica per far fronte al carico giudiziale e non già come disegno strategico di NovaLex.
Dal monitoraggio, poi, risulta che vi è si allo stato un capillare utilizzo dei registri informatici; i provvedimenti giurisdizionali sono resi in forma digitale; vi è ricorso alle notifiche telematiche e i depositi telematici favoriscono l’accesso alla giurisdizione, a prescindere dalla contiguità fisica con l’ufficio giudiziario, inoltre che vi sono state svolte organizzative nei tribunali, a nostro avviso molto timide, ma che ancora molto resta da fare per semplificare l’accesso telematico agli uffici giudiziari dove le reti sono troppo lente e troppo vulnerabili dato che i sistemi informatici subiscono con regolare frequenza incomprensibili interruzioni.
Le zone d’ombra più evidenti, poi, sono state individuate nell’impianto di un Pct che essendo stato calato dall’alto non è stato accompagnato da adeguate risorse e senza che preliminarmente sia stata fatta una revisione delle procedure alla quale si è aggiunta la mancata necessaria diffusione, negli uffici giudiziari, della cultura dell’organizzazione e della cooperazione tra tutti gli attori del processo: magistrati, avvocati, cancellieri, consulenti tecnici, periti, pubbliche amministrazioni. Con le recenti accelerazioni, infine impresse dal governo Renzi, che hanno portato ad una introduzione “forzosa” del Pct è emerso tutto il deficit del Software e le estreme criticità degli appallativi in uso al settore giustizia. Da qui la richiesta, da parte del CSM, di una maggiore semplificazione del software per avere sia una riduzione di assistenza – che tanto costa al ministero della giustizia – che della domanda formativa specifica sull’utilizzo degli applicativi stessi.
Molto critica è risultata, infine, anche la dotazione hardware degli uffici giudiziari e ciò in un sistema processuale che vorrebbe fare dell’utilizzo delle tecnologie il suo unico vettore preferenziale e dove la mancanza di strutture affidabili rischia di pregiudicare definitivamente il consapevole e responsabile esercizio della giurisdizione. Anche la qualità del lavoro dei magistrati è in particolare sofferenza perché questi sono costretti a leggere gli atti da video obsoleti e ciò soprattutto quando si tratta di documenti molto complessi e corposi. Da qui la richiesta del Csm di dotare i tribunali di più moderni pc, scanner e video di dimensioni sufficienti, di stampanti e di materiali di consumo, ma, da qui anche la necessità di una richiesta di formazione che però impropriamente è stata posta dal Csm in capo alla Scuola Superiore della Magistratura, frutto di un pregiudizio di una magistratura intesa come corpo separato e autosufficiente laddove, invece, la competenza il legislatore l’ha assegnata in capo all’Agenzia per l’Italia Digitale che d’intesa con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione ha il compito di provvedere all’alfabetizzazione digitale di tutta la PA e anche di quella della Giustizia in particolare che non è limitata ai soli magistrati ma anche all’altra parte essenziale del processo qual è l’avvocatura.