In occasione della recentissima inaugurazione a Firenze del Palazzo di Giustizia, intitolato a Piero Calamandrei, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha avuto modo non solo di evidenziare che l’introduzione del processo civile telematico comporta la necessaria innovazione delle regole processuali “all’insegna della chiarezza e semplicità”, ma anche della necessità del cambiamento. Quindi, come da tempo i giuristi informatici evidenziano, l’innovazione presuppone la semplificazione delle regole, ma anche di ricordare che l’essenziale contributo dato da Piero Calamandrei, quale maggior esponente dell’avvocatura di tutti i tempi, non deve essere disperso e che gli avvocati debbono partecipare al processo di cambiamento. Non possono, quindi, i giuristici pratici che condividere con il Ministro questo pensiero, segnalando però due varianti.
La prima è che si deve ricordare che nell’attività riformatrice occorre, proprio per il rispetto al Calamandrei, chiamare al tavolo della giustizia tutte le componenti e, quindi, non solo la magistratura e il mondo accademico ma anche l’avvocatura rifuggendo però, per quest’ultima, da quei rappresentanti che in questi anni hanno concepito la funzione legale in termini ottocenteschi di “categoria” asfittica in relazione alla cura di interessi di diritto domestico e ciò in stridente contrasto con il processo economico globalizzato, con una visione di retroguardia che è stata, sino ad oggi, sempre più fagocitata da quelle toghe – solitamente le più ciarliere e presenzialiste – che nelle condizioni attuali di degrado della giustizia hanno trovato il loro habitat remunerativo, le quali con maggiore foga si sono contrapposte a ogni tipo di riforma della giustizia e da decenni, saltando da un organismo all’altro, costituiscono quell’icona nota come “vertice dell’avvocatura” che siede a tutti i tavoli, anche a quelli sul processo civile telematico, fermo poi che al primo alito di vento diventano paladini “del tutto va male” e “asfaltiamo il Pct” in una irrazionale mania distruttiva.
La seconda variante è che occorre cambiare le norme e così a titolo di esempio: vietare l’abuso dello strumento processuale; delineare gli standard per rendere sintetici gli scritti difensionali; dettare i requisiti tipici degli atti processuali e delle articolazioni istruttorie; riformare le regole del processo contumaciale, ma occorre assumere anche la nuova consapevolezza che il cambiamento di queste regole non passa solo dalla penombra delle aule giudiziarie e dalle interminabili disquisizioni accademiche o dai tavoli di confronto con l’Avvocatura, ma da una sinergia nella costruzione delle norme processuali e delle specifiche tecniche per le quali occorre fare riferimento alle Agenzie preposte, in primis ad Agid, che deve essere chiamate a svolgere le funzioni che la legge le assegna, solo cosi si potrà essere all’altezza di un cambiamento al quale partecipa anche l’avvocatura, come si augura il Ministro, alla Calamandrei 2.0.