Innanzitutto l’execution sulle infrastrutture: realizzarle in modo efficiente ed in tempi ragionevoli non è semplice e sottovalutare questo aspetto è molto rischioso. Gli aspetti critici che vedo sono due. Il quadro legislativo e regolamentare è sicuramente positivo ma potenzialmente di complessa attuazione. Un esempio su tutti: l’obbligatorietà della messa a disposizione dei propri asset da parte dei possessori di infrastruttura. Inoltre, i tempi di rilascio delle autorizzazioni da parte degli enti pubblici è ancora elemento di grande incertezza. Nel consueto ping-pong tra infrastrutture da una parte e servizi/applicazioni dall’altro, molto bene ha fatto il Governo a indicare in maniera decisa e concreta che dalle infrastrutture si deve partire. Da sole, però, non bastano per far fare il salto digitale al Paese. In alcuni settori, l’utilizzo delle tecnologie e della banda larga è già trainato dai servizi, specie se pensiamo al mercato consumer.
La strada è ancora molto lunga, ma la PA mostra una significativa vitalità. La digitalizzazione del fascicolo sanitario, le iscrizioni scolastiche online, fino a Spid, sono esempi pratici di servizi pubblici che vanno nella giusta direzione. Piuttosto, ancora molto si deve fare per portare cultura nel mondo delle imprese, specie le Pmi. Le tecnologie per innovare il modo di operare non mancano e sono in costante evoluzione, ma rimane carente la formazione e, conseguentemente, la presa di coscienza delle opportunità collegate al salto digitale. Personalmente ritengo fondamentale il ruolo delle associazioni di categoria che, oltre alle solite rivendicazioni su contesti fiscali e giuslavoristici più favorevoli, aiutino l’imprenditore a sviluppare la consapevolezza di come l’adozione di ambienti Ict abilitanti non sia ormai più un’opzione rimandabile, ma condizione necessaria alla sopravvivenza stessa dell’impresa.