START UP

Rangone (Polimi): “E’ tempo di un distretto hi-tech”

L’Italia ha bisogno di cross fertilization. Ma il Crescita 2.0 dà spazio solo alle start up private. Il ministro Passera ha ammesso il “baco”: ora si rimedi. Le università incubatori per eccellenza: buoni sponsor e conoscitori delle esigenze aziendali

Pubblicato il 12 Nov 2012

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Non si può creare una nuova cultura imprenditoriale senza il contributo delle università. Andrea Rangone non ha dubbi. I provvedimenti del governo a favore delle startup sono un passo avanti, ma con un inciampo: aver dimenticato il ruolo delle istituzioni accademiche e, in genere, pubbliche. Rangone, 44 anni, docente di Business strategy ed ebusiness, uno dei più attenti osservatori del mondo digitale, è delegato del rettore per un grande progetto della Fondazione Politecnico di Milano: il PoliHub, un centro di sviluppo di nuove imprese che sarà operativo a partire dal 2013. “Abbiamo un passato non male in Italia, con la nostra rete di pmi. Dobbiamo adesso pensare al futuro”, dice Rangone che racconta al Corriere delle Comunicazioni gli obiettivi di PoliHub. E perché non si può fare a meno delle università, se si vuole davvero promuovere in Italia una nuova imprenditorialità diffusa e innovativa.

Il Politecnico di Milano ha già acceso i riflettori sulle startup con un Osservatorio nato lo scorso giugno. Perché un nuovo osservatorio?

Perché mancava. Aifi, ad esempio, mappa gli investimenti istituzionali, che sono una piccola parte dell’ecosistema. Noi abbiamo diversi osservatori sul digitale nell’ambito della School of Management, ma non ce n’era uno trasversale, che andasse a guardare la nascita di nuove imprese. Ci siamo concentrati sul settore Ict, che pesa quasi il 50% sugli investimenti in start up. La prossima primavera pubblicheremo il primo rapporto.

Può anticiparci qualche dato?

Nel 2011 ci sono state 44 operazioni (il 41% fatto da incubatori, il 39% da venture capital e un 20% da altri soggetti) per circa 27 milioni di euro. Nel 2012 siamo in linea: fino a settembre sono stati registrati 29 investimenti per circa 20 milioni di euro. Nei primi mesi di vita l’Osservatorio si è focalizzato sul comparto mobile, in qualche modo spinto dai numeri che man mano andava raccogliendo: quasi il 50% delle operazioni sono nel comparto mobile, un mercato nel quale l’Italia è leader a livello internazionale.

Nel decreto di metà ottobre, il cosidetto Crescita 2.0, è stato dimenticato il mondo universitario. Perché?

Il decreto pone molta enfasi sul concetto di incubatore. E questo è intelligente, perché il ruolo è strategico. Peccato che poi lo individua come società di capitali, una start up stessa. Solo privati. Fortunamente il mondo degli incubatori, di successo o no, non è fatto solo da avventure private, in Italia e nel mondo. Ci sono incubatori di matrice pubblica o mista che non rientrano nel profilo individuato nel decreto. Credo che ci sia stato un baco culturale, sin dalla formazione della task force voluta dal ministro Passera: non c’era neanche un rappresentante del mondo universitario

Si potrà rimediare?

Credo di sì. In occasione dello Smau il ministro Passera ha ammesso la dimenticanza. Quindi mi auguro che durante il dibattitto in aula si trovi il modo di riparare a quella che oggettivamente è stata una svista.

Perché è importante il ruolo dell’università?

Per almeno tre motivi. È nei contesti accademici che c’è un know how approfondito. Non possiamo limitare la questione delle startup alle app e ai social network. O, ancora peggio, a un fenomeno di moda. Se si adotta uno sguardo più ampio e più serio, bisogna parlare di cleantech, meccatronica, farmatech. E su queste frontiere le università sono preziose miniere di conoscenza. Nei prossimi 10 anni questo dovrà fare la politica: valorizzare il know how, meglio di quanto non siano state capaci di fare fino a oggi le stesse istituzioni universitarie.

Il secondo motivo?

Non tutte le start up vanno a quotarsi. Succede solo negli Stati Uniti, in Europa lo fanno poche, ancora meno in Italia. L’exit quindi è la vendita a una grande azienda. E l’università ha relazioni costanti e stabili con il sistema industriale. Se vedi le startup in un’ottica non solo finanziaria, le università hanno vantaggi unici rispetto a qualsiasi altro incubatore. Siamo buoni sponsor e soprattutto grandi conoscitori delle esigenze di innovazione delle aziende.

Ci resta il terzo…

Le risorse umane. Abbiamo ragazzi capaci, abili sviluppatori, sapienti tecnologi. Vito Lo Mele di Job Rapido, Antonio Tomarchio di Beintoo, solo per fare un paio di nomi, sono cresciuti al Polimi. Abbiamo un patrimonio incredibile di talenti, dobbiamo far insegnare loro che possono diventare imprenditori e non solo manager.

Che cosa farà il PoliHub che il Politecnico non ha fatto finora?

Il pay off del progetto dice “start up district e incubator”. Vogliamo far nascere un’industria, come successe nell’800 per il tessile, creando la comunanza dei migliori. Negli anni 90 abbiamo sprecato l’occasione di creare una vera industria tech. Adesso dobbiamo accelerare per recuperare il ritardo, facendo quello che non abbiamo saputo fare a partire dal 2000. Diciamo una reale cross-fertilization. Quindi primo obiettivo: creare un distretto hitech, come quello comasco della seta.

Diciamo che l’università rivendica il suo ruolo?

Certo, perché partiamo da Milano, cuore finanziario e imprenditoriale, ma l’obiettivo è creare un rapporto con tutte le facoltà tecnico-gestionali in Italia. Noi facciamo l’investimento iniziale, ma il progetto è di respiro nazionale.

Come verrà sviluppato il progetto?

Seguendo la linea district+incubator. Uno spazio fisico, vicino al Politecnico, dove creare sinergie e dove si potrà accedere anche con borse di studio.

Che cosa farà concretamente il PoliHub?

Innanzitutto un’attività di empowerment, organizzando incontri quotidiani con guru hitech, manager, imprenditori. Magari per un happy hour. Poi aprirà uno sportello, un canale di comunicazione con le competente interne al Polimi. Infine avrà il compito di agevolare i contatti e le collaborazioni con le industry di riferimento. Insomma vogliamo fare startup a vantaggio di tutto il sistema economico nazionale.

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