Rangone: “Uscire dal paradosso della telco-based economy”

Il coordinatore degli osservatori Digital Innovation Polimi: “In dieci anni gli operatori di rete hanno perso 17 miliardi di fatturato, gli Ott ne hanno guadagnati 34. Se non si dà alle telco la possibilità di investire potrebbe risentirne il nostro futuro di Paese moderno e industrializzato”

Pubblicato il 24 Giu 2014

Antonello Salerno

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Mentre il fatturato delle telco scende, quello delle aziende che ne utilizzano le infrastrutture, primi tra tutti gli Over the top, vedono salire vertiginosamente i loro profitti. Ma le attività degli Ott sono abilitate dalle tecnologie messe a disposizione dagli operatori di rete, e su questo si fonda il cosiddetto “Paradosso della Telco based economy”, il concetto su cui Andrea Rangone, coordinatore degli osservatori sulla Digital Innovation del Politecnico di Milano, ha incentrato il suo intervento aprendo i lavori del convegno Telco per l’Italia, organizzato a Roma dal Corriere delle Comunicazioni.

“Questa dinamica – ha detto Rangone – si può evidenziare analizzando pochi numeri fondamentali nel decennio che dal 2006 ci proietta verso il 2016. Il punto da cui partire è la network economy, che vede come attori principali gli operatori di rete fissa e mobile. Due le componenti da analizzare nell’arco dei dieci anni. Da una parte il contributo diretto alla network economy degli operatori delle tlc, fermandoci per semplicità a un indicatore, quello del fatturato, che comunque è un indicatore attendibile degli ordini di grandezza in esame. Il fatturato del settore era nel 2006 di 47 miliardi, un numero di tutto rispetto; nel 2013 si è ridotto a 34 miliardi, e nel 2016 possiamo ipotizzare, senza troppe sofisticazioni, in un dato approssimativo e da prendere con le pinze, che sarà intorno ai 30 miliardi”.

Da una prima lettura della tendenza emerge con forza un fattore: “Un settore che brucia 17 miliardi in 10 anni e di fatto perde un terzo dei suoi volumi d’affari è un settore che sta perdendo l’anima. Ma cosa accade nello stesso decennio alla parte della network economy abilitata dagli operatori Telco? Anche in questo caso – continua Rangone – per semplificare ci limiteremo ai grandi numeri dei cosiddetti Over the top, su e-commerce, mondo dei digital content, dell’internet advertising e dei pagamenti digitali. Grandi mercati abilitati dalle telco ma ‘incassati’ dai cosiddetti Ott. Questo vuol dire che parliamo soltanto di una parte della reale economia abilitata dalle reti, perché questa stima non comprende l’impatto su hardware e software, sulla vendita di Mobile device, smartphone e tablet, né gli impatti indiretti delle reti sulle aziende tradizionali, che grazie all’utilizzo di applicazioni basate sulle reti aumentano sensibilmente la produttività. Nel 2006 questa componente valeva circa 6 miliardi, nel 2013 16 miliardi, nel 2016 40 miliardi”.

Fotografati così i termini del “paradosso”, Rangone ha affidato le sue conclusioni a due considerazioni. “Questi numeri stanno gridando il loro significato agli operatori di telecomunicazioni e alle istituzioni – ha detto – e il senso che se ne trae è la necessità di una strategia per fermare questo paradosso, per possibile valorizzare gli asset che gli operatori hanno in mano, per evitare guerre dei prezzi che in tutti i settori da quando esiste l’economia hanno sempre distrutto valore. La sfida è anche quella di riuscire a investire per innovare, perché nel business ci siano non soltanto gli over the top, ma almeno in parte anche le telco”.

“Alle istituzioni e alla politica questi numeri dicono che è chiaro che ormai il settore delle telecomunicazioni deve essere considerato in maniera diversa da quello che era soltanto pochi anni fa, e su cui sono state scritte le normative e le regole del gioco. Oggi la situazione è diversa, oggi gli operatori telco sono più da considerare come una specie in via di estinzione, fauna dal salvare, anche perché non è in ballo solo un comparto. Si sa che i comparti muoiono, si trasformano: ma qui è in ballo un asset fondamentale dell’economia dei prossimi anni, la rete, fondamentale per l’economia moderna. Se non facciamo in modo che su questa autostrada si possa investire rischiamo di pregiudicare in maniera irreversibile il nostro futuro di Paese moderno e industrializzato”.

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