In principio era Silicon Valley, la vasta distesa che circonda la Baia di San Francisco, epicentro indiscusso dell’innovazione tecnologica durante il ventesimo secolo.
Molti cercarono di copiare la ricetta del suo successo, ma con scarsi risultati. Negli anni Settanta, i francesi lanciarono Sophia Antipolis, sedicente risposta europea agli Stati Uniti. Nonostante il nome mitologico, il clima quasi-californiano e un inarrivabile paesaggio gastronomico, questa cittadina è rimasta un tranquillo polo tecnologico mediterraneo, immortalato dallo scrittore J. G. Ballard nello psicodramma Super-Cannes. Negli ultimi anni però sono cambiate molte cose.
A Londra il cosiddetto Silicon Roundabout è diventato uno dei motori propulsivi della città. Lo stesso sta accadendo a Berlino, dove si dice nasca una startup ogni 20 minuti; a Parigi, dove sorgerà uno dei più grandi incubatori europei nella monumentale Halle Freyssinet; o a Tel-Aviv, motore di una vera e propria Startup Nation. Oggi per la prima volta i cosiddetti unicorni, le startup che raggiungono valutazioni superiori al miliardo di dollari, non sono più monopolio americano. Questo fenomeno ha molte spiegazioni: il talento, le idee e i capitali si muovono più in fretta, grazie alla rete, alle nuove dinamiche di crowdfunding e agli hub che attirano giovani creativi. Le città in effetti stanno giocando un ruolo fondamentale, diffondendo il virus dell’innovazione e diventando esse stesse terreno di sperimentazione delle nuove tecnologie. Da Uber a Airbnb, le ultime startup hanno spesso a che fare con l’ambiente urbano.
La città diventa un laboratorio en plain air – non più solo contenitore ma anche contenuto di innovazione.
