IL DOCUMENTO

Recovery Plan, Confindustria Digitale: “Priorità a Transizione 4.0 e PA”

L’associazione invia al governo le proposte per far ripartire il Paese: stabilizzazione triennale degli incentivi e immediata fruibilità del credito di imposta per le imprese che vogliono investire in innovazione. Più determinazione sullo sviluppo di Spid, Anpr e PagoPA

Pubblicato il 28 Dic 2020

Cesare Avenia

Piano Transizione 4.0 e PA digitale al centro del Recovery Plan. Nel documento inviato al governo Confindustria Digitale delinea la strategia da seguire per il post-Covid.

Secondo l’associazione, accanto alle misure che il Governo destinerà per sostenere la liquidità delle imprese e l’occupazione, occorrerà pensare a dare impulso alla trasformazione digitale del tessuto delle piccole e medie imprese che costituiscono il 99% delle imprese operanti nel nostro Paese.

Piano Transizione 4.0

“L’emergenza Covid-19 ha dimostrato che le imprese più resilienti sono state proprio quelle in grado di adottare immediatamente modalità innovative di lavoro agile sfruttando le potenzialità delle connessioni digitali”, si legge nel documento. Ma le rilevazioni internazionali fotografano l’arretratezza italiana in questo campo in maniera impietosa e tra i tanti dati che l’Indice Desi fornisce vale la pena si sottolinearne uno: per quota di Pmi in grado di vendere direttamente online, il nostro Paese si posiziona terz’ultimo nell’Ue 28 (peggio di noi solo Romania e Bulgaria)”.

In questo contesto le risorse Ue dovranno essere utilizzate per dare continuità al Piano Transizione 4.0. Tra le azioni chiave la stabilizzazione degli incentivi per almeno un triennio; l’immediata fruibilità del credito d’imposta per le imprese, introducendo ove possibile il meccanismo dello sconto in fattura e della cedibilità al sistema finanziario; l’innalzamento delle aliquote, in particolare per gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione e per i progetti 4.0 ed economia circolare.

Per orientare, invece, le imprese sui fabbisogni prestazionali e tecnologici della PA è utile fare ricorso agli appalti innovativi, prevedendo, avverte Confindustria Digitale, “un obiettivo minimo di spesa, non inferiore all’1% delle risorse annue per beni e servizi, da destinare all’acquisto di soluzioni innovative”. Cruciale anche la definizione di incentivi destinati alla riqualificazione/riconversione digitale del personale e semplificazioni per l’adozione del lavoro agile/smart working nonché alla dematerializzazione dei processi aziendali.

“La trasformazione digitale dell’organizzazione del lavoro è fenomeno trasversale a tutte le filiere produttive, anche se è stato avvertito prima e con maggiore intensità da quelle tecnologicamente più avanzate – evidenzia il documento – L’emergenza epidemiologica causata dal coronavirus ha determinato una accelerazione nel ricorso da parte di molte aziende e della PA al lavoro agile/da remoto – già sperimentata con successo dalle grandi imprese – estendendolo anche ad attività che in passato non erano mai state interessate da questo modello lavorativo”.

Ma perché lo smart working di affermi come modello stabile , sarà necessario favorire l’adozione di modelli organizzativi elastici caratterizzati da un bilanciamento flessibile del tempo di vita e di lavoro e che sulla base di responsabilità chiare e definite offrano spazi di autonomia per il conseguimento degli obiettivi aziendali.

“Diventa fondamentale quindi un forte investimento formativo sulle persone tale da permettere l’acquisizione delle competenze tecniche – necessarie ai processi reskilling e upskilling digitale dei lavoratori – e delle competenze trasversali (soft skill) – dicono da Confindustria Digitale – Per innescare e mantenere questo circolo virtuoso un ruolo fondamentale sarà giocato dalla capacità di imprese e organizzazioni datoriali e sindacali di individuare attraverso la contrattazione collettiva (nazionale e aziendale) i modelli di lavoro agile/da remoto più coerenti con gli specifici contesto organizzativi aziendali. Per questo possono essere utili interventi normativi che, lasciando ampio spazio al ruolo delle parti sociali, supportino l’implementazione di modelli di lavoro agile/da remoto attraverso misure premiali/incentivanti in relazione alla rimodulazione dei tempi e dei luoghi di lavoro, nonché attraverso il sostegno degli indispensabili interventi formativi”.

La digitalizzazione della PA

Un Paese realmente innovativo è un Paese che investe sulla modernizzazione della macchina pubblica, in ottica digitale e di riorganizzazione del lavoro. Anche su queto fronte le risorse che arriveranno dall’Ue giocheranno un ruolo chiave.

Confindustria Digitale evienzia come sia “imprescindibile portare a termine nel più breve tempo possibile il completamento delle piattaforme strategiche nazionali della Pubblica Amministrazione, al fine di migliorare l’efficienza e generare risparmi economici, per favorire la semplificazione e la riduzione degli oneri amministrativi a carico di imprese, professionisti e cittadini, nonché per stimolare la creazione di nuovi servizi digitali”.

Avanti tutta, dunque, sull’evoluzione di Spid, Anpr, PagoPA, Cie e Fse. “Bisogna individuare una serie di azioni volte a promuovere i processi di adozione (anche in logica P-P), ad aggiungere nuove funzionalità e a adeguare costantemente la tecnologia utilizzata e i livelli di sicurezza, e  promuovere l’avvio di nuove piattaforme abilitanti che consentono di razionalizzare i servizi per le amministrazioni ed i cittadini, quali CUP integrati, Piattaforma IO, Inad, Piattaforma digitale nazionale dati (Pdnd)”.

In questo modo le piattaforme abilitanti potranno agire da veri e propri punti di accumulazione e generazione di valore a beneficio di tutta la collettività.

“Per questo occorre favorirne l’adozione, prevedendo incentivi di adesione, all’attivazione di progetti di interoperabilità, alla realizzazione di data-lake a livello di ecosistema”, si speoga nel documento inviato al governo.

Serve infine investire per accelerare l’attuazione di tutte quelle azioni previste dal Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione volte ad assicurare l’interoperabilità tra banche dati e piattaforme, favorendo l’attuazione del principio once only e recependo le indicazioni dell’European Interoperability Framework. A tal fine, ad esempio sarebbe opportuno standardizzare le modalità di raccolta, gestione e condivisione delle informazioni provenienti da dispositivi e sensori, per una gestione coerente e ottimizzata dei dati e della conoscenza, stimolando un modello di implementazione delle tecnologie per layer trasversali, capaci di indirizzare i gap infrastrutturali del paese e accelerare, anche con processi di accompagnamento la sua trasformazione digitale.

“Tutto questo consentirà di favorire la nascita di modelli di governo e gestione basati sui dati – avvisa Confindustria Digitale – la definizione di infrastrutture tecnologiche in logica di ecosistema darà vita ad un nuovo modello di semplificazione del sistema Paese non più limitato ad un approccio basato su provvedimenti e misurazioni degli effetti prodotti, ma capace di favorire una semplificazione in continuum, nella quale il modello ”agile” si applicherà anche alla capacità dell’amministrazione di adattarsi in maniera adattativa alle esigenze del Paese”.

Sul fronte dei servizi digitali, la cui offerta è molto disomogenea sul territorio nazionale a fronte di una bassissima adozione, occorre  facilitare l’accesso alle tecnologie sistemiche. Come? Favorendo i processi di switch-off al digitale anche se occorre prevedere strumenti, eventualmente meno dirigistici ma altrettanto utili, di accompagnamento e supporto alle nuove tecnologie esponenziali (A.I., Blockchain, IoT).

Per facilitare lo sviluppo di effetti di ecosistema è necessario creare modelli di accompagnamento e di semplificazione all’accesso, favorendo ad esempio la nascita di nuove piattaforme abilitanti (es. al fascicolo del lavoratore) che possano consentire di mettere a sistema le molte potenzialità che il mondo dell’offerta può mettere a disposizione per la crescita delle competenze e la creazione di servizi a valore.

Ma anche definire modelli di adozione e standard minimi per l’implementazione in logica once delle linee guida europee sull’AI.

In questo scenario, inoltre, riteniamo importante cercare di favorire una “nuova sussidiarietà”:

  • tra pubblico e privato aumentando gli spazi di confronto e l’apporto di contributi a valore da parte del mercato nello sviluppo del digitale pubblico consentendo, ad esempio, alle aziende di contribuire con proprie strutture e metodologie alla migrazione verso il Cloud della PA (attraverso l’uso di metodologie, package di offerta e pattern ingegnerizzati e condivisi).
  • tra centro e territori ottimizzando l’approccio alla progettazione e alla erogazione dei servizi, ma anche facilitando l’integrazione tra amministrazioni centrali e locali attraverso un nuovo modello di sussidiarietà esteso ai dati e alla conoscenza.
  • tra layer trasversali di ottimizzazione e progetti verticali di ecosistema (lavoro, welfare, tele-medicina e benessere, servizi alla persona e a supporto delle nuove fragilità,…), il che vuol dire favorire la nascita di piattaforme di ecosistema (incentivi, standard, strumenti di accompagnamento) che possano sfruttare i livelli trasversali del digitale pubblico (infrastrutture, raccolta, tracciamento e condivisione dei dati, servizi a valore aggiunto e gestione della conoscenza) e connettersi con i nuovi spazi dati europei.

Competenze digitali

È poi ineludibile la questione del digital divide, è illusorio pensare di poter eliminare la multicanalità prevedendo lo switch-off dei servizi di sportello della PA in presenza di vaste aree del Paese dove la diffusione degli strumenti digitali nelle famiglie stenta a crescere: un terzo delle famiglie italiane non ha a disposizione un pc o un tablet e analogo dato si riscontra per quanto riguarda gli abbonamenti a connessioni residenziali a banda ultralarga.

Occorre quindi un intervento/piano di incentivazione pluriennale dedicato a favorire presso le famiglie la diffusione di hardware e connessione.

Assolutamente non trascurabile è il livello delle competenze digitali dei cittadini italiani che è troppo basso e desta allarme. Nel Desi 2020 nell’area Capitale Umano l’Italia ha la peggiore prestazione tra i Paesi europei. La carenza di competenze digitali nei diversi ambiti, per cui l’Italia risulta tra i Paesi europei più in difficoltà, è una delle principali limitazioni per lo sviluppo sociale ed economico del Paese e per la sua ripresa dall’attuale periodo di crisi, assumendo i caratteri della priorità. Ecco perché è necessario che il tema delle competenze digitali diventi una delle priorità strategiche per il nostro Paese.

Occorre anzitutto creare percorsi di formazione strutturati di portata nazionale; aumentare e diffondere le iniziative aderenti alla Coalizione Nazionale per le competenze digitali dei cittadini; promuovere e attuare le azioni previste e che andranno ad inserirsi all’interno del Piano Operativo della Strategia Nazionale per le Competenza Digitali.

Com’è noto, gli indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes) sono migliorati negli ultimi anni, ma la loro ripresa è minacciata dagli effetti della pandemia. Il divario Nord-Sud in termini di PIL, occupazione e Bes si è aggravato, il tasso di partecipazione al lavoro e il tasso di occupazione sono tra i più bassi dell’Ue, con un gap maggiore per l’occupazione giovanile e femminile, inoltre persistono notevoli carenze educative in confronto alla media Ue.

Un Paese che conta su una Pubblica Amministrazione efficiente, digitalizzata, ben organizzata e sburocratizzata, veramente al servizio del cittadino è altresì un Paese equo, inclusivo e sostenibile. Inclusione sociale, di genere e territoriale vuol dire ridurre le diseguaglianze, la povertà e i divari, che impediscono a tutti i cittadini di partecipare pienamente alla vita economica, sociale e culturale e di godere di un tenore di vita e di un benessere considerati accettabili.

In linea con le raccomandazioni del Consiglio europeo, oltre che alla transizione digitale, innovazione e competitività, occorre dunque contribuire alla resilienza, sostenibilità e inclusione sociale. A tal fine, è necessario garantire un livello più uniforme di accesso all’istruzione e alla cultura con particolare riferimento a: l’utilizzo e la conoscenza degli strumenti digitali; la riduzione del gap infrastrutturale; la riduzione delle disparità di genere; l’accesso ai servizi e beni pubblici, soprattutto fra Nord e Sud.

Infine, un’altra delle lesson learned della situazione che stiamo vivendo, secondo l’associazione, è che le strutture resilienti sono quelle in grado di sfruttare tutte le potenzialità offerte dalla trasformazione digitale compreso il lavoro agile/smart working. Confindustria Digitale evidenzia però che nella PA attuale mancano le condizioni essenziali per poter pensare di adottare su larga scala il lavoro agile che avrebbe consentito alla PA di affrontare l’odierna emergenza molto meglio di quanto non stia accadendo. Nella PA italiana sono occupate circa 3,3 milioni di persone (14  lavoratori su 100), ma lo stato del capitale umano, così come la dotazione tecnologica è assolutamente preoccupante.

Occorre quindi un intervento/piano di investimenti pluriennale dedicato a incidere profondamente su queste situazioni di arretratezza che di fatto impediscono alla PA centrale e locale di sfruttare le opportunità offerte dal lavoro agile/smart working.

Politiche a sostegno della domande e dell’offerta

Le leve per far crescere ricerca e innovazione in ambito Ict e migliorarne la performance come volano di crescita passano per politiche:

  • a sostegno dell’offerta con finanziamenti diretti e indiretti (agevolazioni fiscali) ai settori esecutori (Ict e non Ict), accesso a competenze avanzate inerenti le Ket e potenziamento del poli di innovazione a maggiore potenziale;
  • a sostegno della domanda, acquisendo servizi di R&S&I in Ict tramite public procurement (con un salto quantico nella riallocazione di risorse finanziarie articolato in un piano di procurement innovativo nazionale)
  • interventi di filiera trasversali di miglioramento della governance e dei processi per accelerare trasferimento di conoscenza e innovazioni al mercato.

Il nuovo Horizon Europe ci metterà, conclude Confindustria Digitale, in condizione di agire su queste leve con un approccio più razionalizzato e focalizzato sugli obiettivi di digitalizzazione e green economy condivisi con l’Europa.

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